domenica 5 dicembre 2010
Il Libro di Giobbe - Dodicesimo appuntamento
Torna l'appuntamento con il Libro di Giobbe ancora con le parole di quest'ultimo che ci fanno meditare sulla condizione umana:
1L'uomo, nato di donna,
breve di giorni e sazio di inquietudine,
2come un fiore spunta e avvizzisce,
fugge come l'ombra e mai si ferma.
3Tu, sopra un tal essere tieni aperti i tuoi occhi
e lo chiami a giudizio presso di te?
4Chi può trarre il puro dall'immondo? Nessuno.
5Se i suoi giorni sono contati,
se il numero dei suoi mesi dipende da te,
se hai fissato un termine che non può oltrepassare,
6distogli lo sguardo da lui e lascialo stare
finché abbia compiuto, come un salariato, la sua
giornata!
7Poiché anche per l'albero c'è speranza:
se viene tagliato, ancora ributta
e i suoi germogli non cessano di crescere;
8se sotto terra invecchia la sua radice
e al suolo muore il suo tronco,
9al sentore dell'acqua rigermoglia
e mette rami come nuova pianta.
10L'uomo invece, se muore, giace inerte,
quando il mortale spira, dov'è?
11Potranno sparire le acque del mare
e i fiumi prosciugarsi e disseccarsi,
12ma l'uomo che giace più non s'alzerà,
finché durano i cieli non si sveglierà,
né più si desterà dal suo sonno.
13Oh, se tu volessi nascondermi nella tomba,
occultarmi, finché sarà passata la tua ira,
fissarmi un termine e poi ricordarti di me!
14Se l'uomo che muore potesse rivivere,
aspetterei tutti i giorni della mia milizia
finché arrivi per me l'ora del cambio!
15Mi chiameresti e io risponderei,
l'opera delle tue mani tu brameresti.
16Mentre ora tu conti i miei passi
non spieresti più il mio peccato:
17in un sacchetto, chiuso, sarebbe il mio misfatto
e tu cancelleresti la mia colpa.
18Ohimè! come un monte finisce in una frana
e come una rupe si stacca dal suo posto,
19e le acque consumano le pietre,
le alluvioni portano via il terreno:
così tu annienti la speranza dell'uomo.
20Tu lo abbatti per sempre ed egli se ne va,
tu sfiguri il suo volto e lo scacci.
21Siano pure onorati i suoi figli, non lo sa;
siano disprezzati, lo ignora!
22Soltanto i suoi dolori egli sente
e piange sopra di sé.
COMMENTO
Con queste parole riflessive Giobbe esprime la condizione dell'uomo: mentre l'albero si rigenera, l'uomo una volta morto non può più rigenerarsi. Insomma, l'uomo è totalmente nelle mani di Dio; non da solo si è donato la vita né da solo si salverà, ma da Dio ha ricevuto il soffio vitale e da Dio riceverà la salvezza. La realtà della morte spesso incute timore, ma affrontare da vicino questo argomento ci aiuta a riscoprire la nostra identità per non cadere nell'inganno e nel pericolo che conduce ad una morte prematura, ma anche perché è giusto riconoscere le proprie miserie dinanzi al Signore. Molti uomini oggi perdono la vita perché pensano di riuscire in tutte le loro opere, ma se invece restassero fedeli alla loro identità vulnerabile, non si esporrebbero nei pericoli e Dio volendo, allungherebbe per così dire i suoi giorni. Non a caso la superbia o l'imprudenza conduce ad una morte precoce, proprio perché si sottovalutano i pericoli e la propria fragilità. Essere coscienti della propria piccolezza non è una debolezza, ma è anzi segno di saggezza che ci aiuta a stare lontani dai pericoli e a vivere più sereni. L'uomo passa, ma il Signore non passa mai per cui affidarsi ad una creatura come noi è stoltezza: non può un debole contare su un debole né uno zoppo su un altro zoppo e qui tornano alla mente le parole di nostro Signore che disse: Lasciateli! (riferendosi ai farisei) Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso! (Mt 15,14). Noi uomini possiamo aiutare ed essere aiutati fino ad un certo punto, superato quel limite solo da Dio possiamo essere aiutati. L'uomo ad esempio può aiutare un uomo ad attraversare la strada, può prestargli dei soldi, può dargli da mangiare, può indicargli la via della salvezza, ma la salvezza viene solo da Dio! Senza il Signore l'uomo è destinato a perire per sempre e i suoi passi sono su di un filo! Soltanto se confidiamo nel Signore i nostri piedi sono liberi dal laccio: Tengo i miei occhi rivolti al Signore, perché libera dal laccio il mio piede (Salmo 24,15).
In definitiva Giobbe prosegue la sua risposta ai suoi amici cercando di far loro comprendere la condizione misera dell'uomo paragonandolo ad un monte o ad un terreno che logorato dall'acqua si stacca e frana, viene travolto e passa via e mai più può ritornare al suo posto perché come la montagna frana e non può più tornare monte o il terreno una volta portato via d'alluvione non può più ritornare al posto di prima, così l'uomo una volta morto non può fare più nulla per tornare in vita perché nulla è in suo potere poiché egli da Dio dipende. Noi uomini veniamo da Dio e da Lui dipendiamo e se gli saremo fedeli, non solo a parole ma con i fatti e cioè osservando i Suoi comandamenti, moriremo nella speranza di vedere il volto di Dio nel Regno preparato per i Suoi fedeli e nella speranza della resurrezione promessa da Cristo nell'ultimo giorno.
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