lunedì 9 maggio 2011

Redemptor hominis - La Prima Enciclica di Giovanni Paolo II - II

Continuiamo la lettura della Redemptor hominis, ovvero la Prima Enciclica di Giovanni Paolo II  che cerca di rispondere ai dubbi e ai problemi dell'uomo contemporaneo, cercando allo stesso modo di ridare vitalità all'opera della Chiesa. Oggi vediamo proprio richiamata l'Enciclica di Paolo VI che, secondo il pensiero di Giovanni Paolo II, era stata capace di mostrare il vero volto della Chiesa: attraverso le sue parole, infatti, Paolo VI era riuscito a colpire le coscienze degli uomini, mostrando loro la necessità della presenza della Chiesa nella vita degli uomini. Ed infatti, noi tutti siamo coscienti e consapevoli che non possiamo vivere senza la guida della Chiesa la quale unica riesce a mantenere integra la Verità così come trasmessa da Gesù Cristo. Purtroppo, le critiche non mancano mai e quelle che fanno più male sono quelli che provengono dall'interno: ma bisogna superare queste critiche, con spirito di umiltà e obbedienza, seguendo l'esempio dei Santi di Dio che mai hanno osato andare contro di essa e contro il Vicario di Cristo. Le critiche sono buone se costruttive: ma diventano fonte di male se non hanno altro scopo che quello di criticare qualcosa che non piace a prescindere. Anche noi cattolici, molto spesso, critichiamo la Chiesa ingiustamente: dovremmo invece fare in modo di comprenderne il Magistero e l'insegnamento, mettendo da parte ogni pregiudizio e ogni "personale" pensiero (o piacere: qualcuno dovrebbe ricordarsi che la Chiesa non può adattarsi ai nostri piaceri e ai piaceri della modernità, in quanto essa ha il dovere di proteggere il messaggio evangelico da ogni distorsione e da ogni manipolazione): 

I – Eredità  

3. Fiducia nello Spirito di Verità e di Amore

Affidandomi pienamente allo Spirito di verità, entro, dunque, nella ricca eredità dei recenti pontificati. Questa eredità è fortemente radicata nella coscienza della Chiesa in modo del tutto nuovo, non mai prima conosciuto, grazie al Concilio Vaticano II, convocato e inaugurato da Giovanni XXIII e, in seguito, felicemente concluso e con perseveranza attuato da Paolo VI, la cui attività ho potuto io stesso osservare da vicino. Fui sempre stupito dalla sua profonda saggezza e dal suo coraggio, come anche dalla sua costanza e pazienza nel difficile periodo postconciliare del suo pontificato. Come timoniere della Chiesa, barca di Pietro, egli sapeva conservare una tranquillità ed un equilibrio provvidenziali anche nei momenti più critici, quando sembrava che essa fosse scossa dal di dentro, sempre mantenendo un'incrollabile speranza nella sua compattezza. Ciò, infatti, che lo Spirito disse alla Chiesa mediante il Concilio del nostro tempo, ciò che in questa Chiesa dice a tutte le Chiese8 non può - nonostante inquietudini momentanee - servire a nient'altro che ad una ancor più matura compattezza di tutto il Popolo di Dio, consapevole della sua missione salvifica.

Proprio di questa coscienza contemporanea della Chiesa, Paolo VI fece il primo tema della sua fondamentale Enciclica, che inizia con le parole Ecclesiam Suam, ed a questa Enciclica sia a me lecito, innanzitutto, di far riferimento e collegarmi in questo primo e, per così dire, inaugurale documento del presente pontificato. Illuminata e sorretta dallo Spirito Santo, la Chiesa ha una coscienza sempre più approfondita sia riguardo al suo ministero divino, sia riguardo alla sua missione umana, sia finalmente riguardo alle stesse sue debolezze umane: ed è proprio questa coscienza che è e deve rimanere la prima sorgente dell'amore di questa Chiesa, così come l'amore, da parte sua, contribuisce a consolidare e ad approfondire la coscienza. Paolo VI ci ha lasciato la testimonianza di una tale coscienza, estremamente acuta, della Chiesa. Attraverso le molteplici e spesso sofferte componenti del suo pontificato, egli ci ha insegnato l'intrepido amore verso la Chiesa, la quale - come afferma il Concilio - è «sacramento, o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano»9.

4. Riferimento alla prima Enciclica di Paolo VI

Proprio per tale ragione, la coscienza della Chiesa deve esser congiunta con un'apertura universale, affinché tutti possano trovare in essa «le imperscrutabili ricchezze di Cristo»10, di cui parla l'Apostolo delle genti. Tale apertura, organicamente unita con la coscienza della propria natura, con la certezza della propria verità, di cui disse Cristo: «La mia parola non è mia, ma del Padre che mi ha mandato»11, determina il dinamismo apostolico, cioè missionario, della Chiesa, la quale professa e proclama integralmente tutta quanta la verità trasmessa da Cristo.

Essa deve, in pari tempo, condurre quel dialogo che Paolo VI nella sua Enciclica Ecclesiam Suam chiamò «dialogo della salvezza», differenziando con precisione i singoli cerchi, nell'àmbito dei quali esso dovrebbe esser condotto12. Mentre oggi mi riferisco a questo documento programmatico del pontificato di Paolo VI, non cesso di ringraziare Dio, perché questo mio grande Predecessore e insieme vero padre, ha saputo - nonostante le diverse debolezze interne, di cui la Chiesa nel periodo postconciliare ha sofferto - manifestarne «ad extra», «al di fuori», l'autentico volto. In tal modo, anche gran parte della famiglia umana, nei diversi àmbiti della sua molteplice esistenza, è diventata - secondo il mio parere - più cosciente di come sia ad essa veramente necessaria la Chiesa di Cristo, la sua missione e il suo servizio. Questa coscienza si è talvolta dimostrata più forte dei diversi atteggiamenti critici, che attaccavano «ab intra», «dal di dentro», la Chiesa, le sue istituzioni e strutture, gli uomini della Chiesa e la loro attività. Tale crescente critica ha avuto senz'altro diverse cause, e siamo certi, d'altra parte, che essa non è stata sempre priva di un vero amore alla Chiesa. Indubbiamente, si è manifestata in essa, fra l'altro, la tendenza a superare il cosiddetto trionfalismo, di cui spesso si discuteva durante il Concilio. Se è cosa giusta, però, che la Chiesa, seguendo l'esempio del suo Maestro che era «umile di cuore»13, sia fondata anch'essa sull'umiltà, che abbia il senso critico rispetto a tutto ciò che costituisce il suo carattere e la sua attività umana, che sia sempre molto esigente con se stessa, parimenti anche lo spirito critico deve avere i suoi giusti limiti. In caso contrario, esso cessa di esser costruttivo, non rivela la verità, l'amore e la gratitudine per la grazia, di cui principalmente e pienamente diventiamo partecipi proprio nella Chiesa e mediante la Chiesa. Inoltre, esso non esprime l'atteggiamento di servizio, ma piuttosto la volontà di dirigere l'opinione altrui secondo la propria opinione, alle volte divulgata in modo troppo sconsiderato.

Si deve gratitudine a Paolo VI perché, rispettando ogni particella di verità contenuta nelle varie opinioni umane, ha conservato in pari tempo il provvidenziale equilibrio del timoniere della Barca14. La Chiesa che, attraverso Giovanni Paolo I e quasi subito dopo di lui ho avuto affidata, non è certamente scevra da diffìcoltà e da tensioni interne. Nello stesso tempo, però, essa è interiormente più premunita contro gli eccessi dell'autocriticismo: si potrebbe dire che è più critica di fronte alle diverse sconsiderate critiche, è più resistente rispetto alle varie «novità», più matura nello spirito di discernimento, più idonea ad estrarre dal suo perenne tesoro «cose nuove e cose antiche»15, più centrata sul proprio mistero, e, grazie a tutto ciò, più disponibile per la missione della salvezza di tutti: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati ed arrivino alla conoscenza della verità»16.

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