martedì 31 maggio 2011

La Città di Dio - XX parte

Riprendiamo la lettura dell'opera di Sant'Agostino nota come "La città di Dio". Sant'Agostino giunge al punto dimostrando che la depravazione civile in cui viveva la città eterna (Roma) era frutto del fatto che gli dei tanto onorati non si erano mai presi cura del popolo; anzi, non avevano mai mostrato loro la via da seguire per raggiungere la decenza e la moralità dei costumi. Inoltre, il Santo d'Ippona ci tiene a rimarcare come i successi (e/o gli insuccessi) della vita non dipendono certamente da démoni, ma da Dio che solo vede e provvede: 

22. 1. Ma per quanto attiene al problema in esame, comunque esaltino che fosse o che sia la società romana, secondo i loro più autorevoli scrittori molto prima della venuta di Cristo era divenuta moralmente molto depravata; anzi non esisteva affatto ed era andata in rovina per costumi molto degenerati. Ma affinché non andasse in rovina, i suoi dèi protettori dovevano dare al popolo che li onorava soprattutto comandamenti di vita morale. Da esso erano appunto onorati con tanti templi, tanti sacerdoti e tante forme di sacrifici, con numerosi e vari misteri, con tante solennità festive e con celebrazioni di tanti e grandi spettacoli. Ma i demoni con queste cose fecero soltanto il proprio interesse non preoccupandosi come vivevano, anzi preoccupandosi che vivessero sfrenatamente perché, soggiogati dal terrore, offrissero in loro onore tutte quelle manifestazioni. E se le hanno date, si renda noto, si mostri, si scriva, quali leggi degli dèi date allo Stato trasgredirono i Gracchi per turbare tutti gli istituti con le sedizioni, quali leggi trasgredirono Mario, Cinna e Carbone per giungere anche alle guerre civili, iniziate per motivi ingiusti, condotte con crudeltà e con maggior crudeltà portate a termine 51, che trasgredì infine lo stesso Silla 52. Perché ogni uomo anzi deve detestare la sua vita, costumi e azioni narrati da Sallustio e da altri scrittori, ognuno deve ammettere che la società allora era in sfacelo.

22. 2. Ma in considerazione dei costumi dei cittadini di tal fatta ardiranno forse, come di solito, addurre a difesa dei loro dèi, i versi di Virgilio: Abbandonando templi e altari si sono allontanati tutti gli dèi col cui aiuto questo regno si reggeva 53? Prima di tutto, se è così, non hanno di che lamentarsi della religione cristiana per il fatto che offesi da essa i loro dèi li abbiano abbandonati. Già da prima i loro antenati con i propri costumi scacciarono come mosche dagli altari di Roma una pleiade di piccoli dèi. Ma dove era questa frotta di divinità quando, prima ancora che fossero depravati gli antichi costumi, Roma fu presa e incendiata dai Galli? Pur presenti dormivano? Caduta tutta la città in potere dei nemici, era rimasto soltanto il colle capitolino; ma anche esso sarebbe stato occupato se, mentre gli dèi dormivano, non fossero rimaste sveglie le oche 54. Per questo fatto, celebrando feste solenni all'oca, Roma era quasi caduta nella superstizione degli Egiziani che adorano bestie e uccelli. Ma per adesso non discuto di mali occasionali, e piuttosto fisici che spirituali, che provengono dalle guerre o altre sventure. Ora parlo della decadenza dei costumi. Dapprima si sbiadirono un po' alla volta, poi rovinarono con l'impeto di un torrente. Ne seguì una così grave rovina della società, pur rimanendo intatte case e mura, che i loro grandi scrittori non esitarono ad affermare che fin d'allora era perduta. Era giusto che tutti gli dèi, abbandonando templi e altari, si allontanassero affinché fosse perduta, se lo stato avesse trasgredito i loro precetti di moralità e giustizia. E allora, scusate, che razza di dèi erano se non volevano vivere con un popolo che li onorava dal momento che, poiché si comportava male, non gli avevano insegnato a comportarsi bene?

23. 1. E che dire del fatto che, come sembra, li hanno assistiti a sfogare le loro passioni smodate e che, come si afferma, non s'imposero per reprimerle? Gli dèi infatti aiutarono Mario, uomo arrivato da poco e popolano, iniziatore e continuatore di guerre civili, a divenire console per sette volte e a morire durante il suo settimo consolato, ormai vecchio, in modo che non cadesse nelle mani di Silla che fra breve l'avrebbe vinto 55. Se poi gli dèi non lo aiutarono per questi scopi, i Romani devono ammettere, e non sarebbe poco, che anche senza il favore degli dèi può verificarsi per l'uomo quel grande successo temporale che tanto desiderano. Gli individui, come Mario, malgrado l'indignazione degli dèi, possono essere pienamente appagati e godere di salute, forze, ricchezze, onori, rispetto e lunga vita. Altri, come Regolo, malgrado la benevolenza degli dèi, sono afflitti e muoiono nella prigionia, nella schiavitù, di miseria, di sonno e di sofferenze. E se concedono che è così, ammettono che gli dèi non servono a niente per determinati vantaggi e si onorano senza profitto. Infatti hanno sollecitato il popolo ad imparare piuttosto i vizi contrari alle virtù spirituali e all'onestà morale, le cui ricompense si devono sperare dopo morte. Inoltre anche nei beni passeggeri e temporali non puniscono quelli che odiano e non favoriscono quelli che amano. E allora a quale scopo sono adorati, a quale scopo si chiede con tanto zelo che siano adorati? Perché si mormora che in tempi travagliati e tristi si siano allontanati come se fossero indignati e a causa loro si offende la religione cristiana con ingiurie veramente immeritate? Se hanno negli avvenimenti del mondo il potere di fare del bene e del male, perché hanno protetto l'indegno Mario e sono mancati al degnissimo Regolo? Si deve pensare forse che anche essi sono ingiusti e cattivi? E se si pensa che proprio per questo si devono maggiormente temere e onorare, non lo si pensi di loro, perché è noto che Regolo non li ha meno onorati di Mario. E non sembri per questo che si debba scegliere una condotta moralmente indegna perché si giudica che gli dèi hanno aiutato più Mario che Regolo. Infatti Metello, il più illustre dei Romani, che ebbe cinque figli consoli, fu fortunato anche nei beni terreni, e Catilina, il peggiore dei Romani, fu oppresso dalla povertà e cadde miseramente nella guerra del suo tradimento. Infine i buoni che onorano Dio si distinguono per vero e sicuro successo che soltanto da lui può esser dato.

23. 2. Dunque mentre la società andava in sfacelo a causa dell'immoralità, i loro dèi non fecero nulla per regolare o riformare i costumi perché non decadesse, anzi contribuirono a depravarli e guastarli per farla decadere. Non si fingano dunque persone dabbene come se si siano allontanati perché offesi dalla dissolutezza del popolo. Certamente erano presenti, si sono traditi, sono smascherati; non sono riusciti né ad aiutare col loro potere né a nascondersi nel silenzio. Tralascio che Mario fu raccomandato dai compassionevoli abitanti di Minturno alla dea Marica nel suo boschetto sacro perché gliele mandasse tutte buone 56. Ed egli che aveva perduto ogni speranza tornò incolume a Roma e guidò da crudele qual era un esercito crudele. I volenterosi possono leggere gli autori che hanno narrato quanto la sua vittoria fu disumana, incivile e più spietata di quella di un nemico. Ma, come ho detto, tralascio questi fatti e non attribuisco il successo efferato di Mario a non saprei quale Marica ma piuttosto a un'occulta provvidenza di Dio per chiudere la bocca dei nostri avversari e liberare dall'errore individui che non agiscono per passione ma riflettono saggiamente sulle cose. Infatti, sebbene i demoni abbiano un certo potere su questi fatti, ne hanno tanto quanto è loro concesso dal volere nascosto di Uno che tutto può. Non dobbiamo perciò sopravvalutare il successo terreno che spesso viene accordato a malvagi come Mario e non reputarlo un male perché osserviamo che in esso sono stati eccellenti anche molti individui religiosi, onesti e adoratori del vero Dio, nonostante l'opposizione dei demoni. Così non dobbiamo credere che i medesimi spiriti immondi si devono propiziare o temere in vista di beni o mali terreni. Anche essi, come gli uomini malvagi nel mondo, non hanno il potere di fare tutto ciò che vogliono, ma solamente quanto è consentito dalla disposizione di colui, di cui nessuno comprende pienamente i giudizi, nessuno giustamente li riprende.

 

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