mercoledì 2 febbraio 2011

Verità della Fede - II parte

Proseguiamo il nostro nuovo appuntamento con il libro di Sant'Alfonso Maria de' Liguori, Verità della Fede. Oggi leggiamo il Cap. II:




Verità della Fede

di Sant'Alfonso Maria de' Liguori


CAP. II. Si prova l'esistenza di Dio dall'esistenza delle cose create, che non potrebbero esistere se non avessero avuto un primo principio.

1. Noi miriamo su questa terra uomini, bruti, monti, mari, fiumi e piante. Alziamo poi gli occhi, e vediamo cielo, stelle e pianeti. Si dimanda: chi mai ha fatte tutte queste creature? Dal nulla non poteano elle avere il lor essere; perché ciò ch'è niente, niente può, e tanto meno può dar l'essere a chi non l'ha, qual è il creare, per cui vi bisogna una somma ed infinita potenza. Per la stessa ragione tali creature non han potuto avere l'essere da loro stesse; perché se prima non erano, non poteano darsi quell'essere che non aveano, per l'assioma trito, Nemo dat quod non habet. Altrimenti ne risulterebbe che la stessa cosa sarebbe prodotta insieme e non prodotta: prodotta perché prima non esisteva, e di poi esiste; e non prodotta, perché ha ricevuto l'essere da se stessa e non da altri.

2. Dicono i materialisti che tutto è materia, e questa materia è eterna ed improdotta; sicché tutte le cose hanno avuto l'essere dalla materia, la quale ha avuto l'essere da sé, e da quella sono state poi tutte le cose prodotte. Ma si dimanda: se questa materia ha avuto l'essere da sé, ed è indipendente, perché mai è così imperfetta? Chi l'ha privata d'intelligenza e di tante altre perfezioni che potea avere? L'essere da sé ed indipendente è proprio di un ente perfettissimo; il quale, non dipendendo da altri, non ha chi possa limitargli e restringergli le perfezioni sino a qualche segno determinato. Se dunque vediamo che tutte le creature sono limitate ed imperfette, è certo che non hanno l'essere da loro stesse, né dalla materia increata, ch'è parimente imperfetta, ma l'han dovuto ricevere da un primo principio indipendente ed infinitamente perfetto; perché, se non era tale, non potea avere l'essere da sé, ma avrebbe dovuto riceverlo da un altro ente, finché non si fosse arrivato a quella suprema cagione che è da sé, e possiede tutte le perfezioni, e tutte in grado infinito, qual è appunto il nostro sommo Dio. Quindi ci dicono le sante scritture che le stesse creature dimostranci esservi un creatore del tutto, in modo tale che chi non crede, è inescusabile: A magnitudine speciei et creaturae cognoscibiliter poterit creator horum videri1Loquere terrae, et respondebit tibi... Quis ignorat quod omnia haec manus Domini fecerit2Invisibilia enim ipsius a creatura mundi, per ea quae facta sunt, intellecta conspiciuntur: sempiterna quoque eius virtus et divinitas: ita ut sint inexcusabiles3.

3. Né vale il ricorrere al processo in infinito delle cause producenti, con dire che tutti gli enti esistenti non hanno avuto già principio, ma sono stati prodotti dalla materia eterna, dipendendo l'uno dall'altro per una infinita serie di cause. Non vale, dico; perché essendo tutti questi enti dipendenti l'uno dall'altro, come vuol supporsi, per necessità dee ammettersi un primo principio indipendente, dal quale abbiano avuta la loro origine; altrimenti bisognerebbe dire che tutti questi enti da una parte sono dipendenti, giacché l'uno dipende dall'altro; ed all'incontro ch'essi, aggregatamente presi, sieno indipendenti, sicché da niun primo principio abbian ricevuta la loro origine. Oltreché la materia in niun modo ha potuto essere stata eterna e senza principio, perché non essendo stata questa materia che un aggregato d'oggetti materiali particolari che non hanno potuto aver l'essere da sé, tutti han dovuto riceverlo da un principio superiore e indipendente dalla materia.

4. Replicano; ma non corre l'argomento dal distributivo al collettivo, cioè dalle parti al tutto; p. e., dicono: ogni pietra di questo palagio è piccola, ma non perciò può dirsi che questo palagio ancora è picciolo. Ma si risponde che tal argomento dalle parti al tutto allora non vale, quando si parla de' predicati accidentali dell'oggetto, come circa la quantità delle parti, grandi e piccole; ma ben vale quando si parla de' predicati essenziali appartenenti alla natura della cosa che astraggono dalla distribuzione o collezione delle parti. Sicché ben vale il dire: ciascuna pietra è materiale, dunque tutto il palagio è materiale ancora: ciascun uomo è ragionevole, dunque tutto il genere umano è ragionevole. Se dunque ciascuna causa circa la produzione degli enti è dipendente, tutta la loro serie anche è dipendente. Che sieno poi infinite queste supposte produzioni degli enti materiali, niente importa di più, perché la loro infinità è ad esse estrinseca, e non muta la loro natura d'esser tutte dipendenti; onde, se non si desse la prima cagione, da cui abbiano ricevuta la loro nascita, niuna d'esse esisterebbe. Ciò si fa chiaro coll'esempio. Posto che niun uomo ha avuto l'essere da sé, ognuno intende che se non vi fosse stato il primo uomo, non vi sarebbe stato il secondo, né il terzo, né il quarto, né alcun altro. Se dunque tutti son nati l'uno dall'altro, bisogna dare un primo principio, da cui tutti gli altri discendenti abbiano avuto il loro essere; altrimenti sarebbero tutti prodotti, ma senza principio, in modo che sarebbero tutti effetti senza causa, il che è impossibile.

5. Oltreché, se si volesse ammettere questo processo infinito di cause e di effetti prodotti l'uno dall'altro, sarebbe impossibile che al presente fosse arrivato alcuno di questi effetti infiniti (giacché la loro produzione si suppone ab eterno a parte antea) sino al tempo presente; in modo che, se non vi fosse stato primo principio, oggi non vi sarebbe niuno degli oggetti che vediamo. La ragione è chiara, perché, essendo stati questi effetti infiniti ed ab eterno, per giungere al tempo presente, avrebbe dovuto passare l'eternità; ma l'eternità è impertransibile; mentre avrebbero dovuto scorrere infiniti anni; ma questi anni infiniti non avrebbero potuto mai scorrere ed evacuarsi. Se dunque noi miriamo già tanti oggetti esistenti, non possiamo negare che abbiano avuta la loro origine da una prima cagione che ha dato loro l'essere.

6. Che il mondo poi non sia stato eterno, ma fatto in tempo, si deduce ancor chiaramente da molte naturali e congruenti ragioni che vi sono. Questa opinione del mondo eterno si vantò Aristotile1. d'essere stato il primo ad asserirla; del resto tutti gli altri filosofi antichi, Talete, Pitagora, Anassimandro e gli altri (fuor di Ocello Lucano) hanno creduto che il mondo sia stato fatto in tempo. E ciò si fa chiaro colla tradizione delle istorie antiche di tutte le nazioni e con tutte le memorie de' tempi; poiché tutte ci attestano l'origine del mondo che non è stato eterno. Altra istoria più antica non v'è che quella di Mosè, il quale scrisse: In principio creavit Deus coelum et terram2. E questa è stata sempre la credenza e tradizione comune di tutti gli uomini.

7. Così tennero i fenicj, come si ha da Sanconiatone che raccolse le istorie fenicie, le quali furono poi tradotte da Filone, di cui Eusebio3 ci porge questo frammento:Phoenicum theologia principium huius universi ponit aerem tenebrosum et spiritalem, sive spiritum aeris tenebrosi et chaos turbidum; haec porro infinita fuisse, multoque tempore ignara termini at ubi spiritus amore principiorum suorum tactus est, factaque est inde mixtio, huic nexui nomen factum cupidinis. Tale fuit intimum procreationis rerum omnium. At spiritus generationem sui nullam agnoscebat. Così parimente Megastene presso Strabone4, parlando degl'indiani, scrisse: De multis eos cum graecis sentire, ut quod mundus et ortus sit, et interiturus: quod eum opifex eius et gubernator Deus universum pervadat. Similmente Laerzio5 scrisse degli egizj: Principium esse molem confusam; ex hac discreta elementa quatuor et animalia perfecta.Veggasi Grozio6, ove trovansi indicate da' gentili, benché corrotte da favolose notizie, quasi tutte le particolarità dell'istoria della creazione scritta da Mosè dal primo sino al settimo giorno: il quale giorno, come attestano Teofilo Antiocheno7 e Giuseppe Ebreo8 presso tutte le nazioni era giorno festivo: Festus dies non uni urbi aut religioni, sed universo. Di più da Omero e da Orfeo poeti greci si cantò già la nascita del mondo. Di più Beroso Caldeo presso lo stesso Giuseppe9 narra, seguendo antichissime scritture, del diluvio, della morte degli uomini e dell'arca le stesse cose che scrive Mosè. Lo stesso in sostanza riferisce Abideno Assirio presso Eusebio10, intrecciandovi però molte bugie; il che per altro giova per togliere il sospetto che l'autore l'abbia copiato dal libro di Mosè. Lo stesso scrive Alessandro Pollistoro greco presso Clemente Alessandrino1. E lo stesso scrive Luciano presso Plutarco2. Quindi da' gentili Noè (come si porta) era chiamato Giano, attribuendoglisi due faccie, per ragion ch'egli avea veduto il mondo antico ed il mondo nuovo, prima e dopo il diluvio. Noè s'interpreta Requies; e perciò ancora da' gentili Giano si chiamava Praeses ianuarum, e dalla parola ianua fu detto Giano. Il custode delle porte serve alla quiete delle case, e quindi in Roma, quando v'era pubblica pace, stavan chiuse le porte del tempio di Giano. Si aggiunge che nelle medaglie di Giano si vede effigiata la nave che figura l'arca di Noè. Lucrezio nel lib. 5. prova che il mondo non è stato eterno da' limiti della storia universale, che non passa più della guerra di Troia. Alcune altre istorie poi presso certe altre nazioni son pure favole; e con tutto ciò queste neppure sono anteriori al diluvio. Presso i cinesi la storia giunge sino al re Yaco, al quale fa dire Confucio che a' suoi tempi si erano alzate le acque sino al cielo. E scrive il signor Freret che il regno di Yaco cominciò dieci anni dopo la vocazione di Abramo.

8. Conobbero ancora i gentili l'alta fabbrica che dopo il diluvio cercarono di erigere gli uomini: Affectasse ferunt regnum coeleste gigantes, così scrisse Ovidio3, dicendo che i giganti fecero guerra contro gli Dei, gittando verso il cielo gran sassi, ch'erano appunto le pietre della torre di Babele. Di ciò fa anche menzione Virgilio4ed Abideno presso s. Cirillo5. Inoltre più autori antichi, come Tacito6, Plinio7, Strabone8 e Diodoro Siciliano9 fanno menzione dell'incendio di Sodoma. Di più Beroso presso Giuseppe10 parla della vocazione e delle virtù di Abramo. E così dispose Iddio che le verità più antiche delle sacre scritture fossero conosciute anche dagli altri popoli, da cui tali scritture neppur si conoscono. Indi terminano queste tradizioni generali; dal che si conferma il fatto della division delle lingue, la quale fu cagione che si rompesse il comune commercio degli uomini. Qui si avverta ancora che i figli de' patriarchi facilmente potevano ricevere le vere tradizioni da' loro maggiori per la lunga loro età; mentre Noè nacque 126 anni soli dopo la morte di Adamo11; onde ben poté in età di 30 anni saper l'origine del mondo da molti che avean conosciuto Adamo, e specialmente da Lamecco suo padre nato 56 anni prima che morisse Adamo. Così Abramo ben intese da Noè quanto questi sapea di Adamo, mentre nacque 58 anni prima della morte di Noè; e Mosè ben poté saper tutto da Caat suo avolo, che convisse già con Giacobbe nipote di Abramo.

9. Or ritorniamo al punto del mondo eterno. Se il genere umano fosse stato eterno, vi sarebbe qualche nazione eterna, oppure alcuna di cui non si potesse assegnar l'origine. Ma questa non si ritrova. Mosè è quel solo che narra, e comprende le origini delle genti più antiche, cioè degli ebrei, fenicj, egizj, assirj, persiani ed arabi. Gl'istorici greci (presso Bochart Geogr. suc. e Iaquelot de Exist. Dei) ci segnarono i principj di tutte le nazioni da essi conosciute, come degli ateniesi, siciliani, italiani, arcadi, spartani, tebani, corintj, cretesi, macedoni, ecc. Dal che possiamo argomentare l'origine di tutte le altre genti: poiché se il mondo fosse stato eterno, niuno potrà persuadersi che la Grecia, la quale è una regione posta quasi in mezzo alla terra, abbia potuto rimanere per tanto tempo talmente deserta che non abbia avuti abitanti, a cui fossero trasmesse le notizie del mondo eterno, o almeno immemorabile. E se ella ha avuti abitanti, come ha potuto restar priva d'ogni memoria che avesse superata l'antichità di duemila anni? Gli uomini per naturale inclinazione amano di lasciar a' posteri le memorie proprie e de' loro antenati; ma noi vediamo che altre memorie non ci han lasciate tutti gli antichi che al più di venti secoli in circa.

10. Inoltre, se il mondo è stato eterno, perché non sono state ritrovate prima, e prima ridotte a perfezione tante arti e tante scienze che al presente vi sono? Hanno bastati pochi secoli a ritrovarle e perfezionarle, e prima non ha bastata un'eternità? Le arti e le scienze già è noto che sono di recente origine. Attesta Varrone che a' suoi tempi appena alcun'arte era stata più antica di mille anni. Ed in fatti narrasi che Ceres, il quale visse circa l'anno 1409 avanti di Cristo (come si ha da un marmo antico che si conserva in Oxonio) fu il primo che insegnasse a' greci il modo di seminare e mietere il grano. L'uso del vino già da Mosè sta scritto che fu trovato da Noè, che poi da' greci fu stimato Bacco. Il primo inventore delle misure, de' pesi e della moneta scrive Plinio essere stato Fidone Argio, il quale visse nell'anno 895 prima di Cristo, secondo si ha dallo stesso marmo oxoniese. Anassimandro o sia Anassimene inventò l'orologio solare: e da esso, come scrive Erodoto, i greci poi ne presero l'uso. Dedalo inventò la scultura delle statue, che poi fu perfezionata da Fidia e Lisippo. L'arte di pingere a principio era così rozza, come scrive Eliano, che bisognava scrivere sotto la tavola quello che volea significare il dipintore. Le prime navi furono formate da' fenicj, come tutti consentono; e la prima nave che fu veduta in Grecia, apparve nell'anno 511. prima della redenzione. L'uso delle lettere fu insegnato da Cadmo circa l'anno 1490 prima di Cristo; poiché de' tempi più antichi non v'è altra memoria che de' soli geroglifici usati dagli egizj.

11. In quanto poi alle scienze portasi che i primi osservatori delle stelle furono i babilonesi, da cui Talete poi apprese l'astronomia, e l'insegnò a' greci. Pitagora cominciò ad insegnar la musica ed anche la filosofia, della quale niente prima si sapea nella Grecia. Ippocrate fu il primo ancora ad insegnar la medicina. I primi legislatori che fecero leggi per il governo civile de' popoli, si sa che furono Mosè presso gli ebrei, Zoroastro presso i Persiani, Orfeo presso i Traci, Licurgo presso i Lacedemoni, Teseo e Solone presso gli Ateniesi, e Pitagora nella Magna Grecia.

12. In quanto ancora alle religioni degli uomini, già è nota da per tutto l'origine della falsa religione degl'idolatri; si sa che Eutemero descrisse i natali e le vite degli Dei de' gentili; onde Epicuro presso Cicerone disse: Omnem eorum cultum fuisse in luctu. Il dotto autore di sopra nominato (Iacquelot nel suo libro de Exist. Dei) prova ancora l'origine de' templi, degli altari, degli oracoli e di tutte le cose sacre spettanti al culto divino. L'istoria ci fa sapere ancora quali furono i primi atei che negarono Dio, cioè Anassimandro, Leucippo e Democrito, benché Lucrezio voglia attribuire al suo amato Epicuro questa bella gloria di essere stato il primo ateo. Sicché prima della venuta del Redentore si sa che nel mondo non vi fu altra religione, che la falsa degl'idolatri e la vera degli ebrei. Dopo la redenzione poi son note a tutti, secondo le pubbliche storie, le origini della nostra religion cristiana e di tutte le altre false sette delle genti.

13. Sicché concludiamo, secondo la comune testimonianza delle storie e di tutte le tradizioni umane, che prima di quattromila anni gli uomini si riduceano a poche famiglie, senza città, senza leggi civili, senza lettere e senza commercio di arti e di scienze. Indi cominciarono a formarsi villaggi, paesi, città, regni, leggi, arti e scienze, delle quali non v'è memoria rispetto a tutta la passata eternità, per cui vanamente dagli atei si suppone essere stato sempre esistente il mondo.

14. Ne' vale dire che non vi sieno memorie più antiche, perché gl'incendj, i terremoti e i diluvj han potuto estinguere quelle genti che n'erano intese, e perciò si sono perdute le notizie, così dei regni che vi sono stati, come delle arti e delle scienze. Perché si risponde che tali incendj, terremoti ed alluvioni han potuto sì bene avvenire in particolare in molte regioni, ma non in tutta la terra. E con tutte queste ruine non può dirsi che sieno morti tutti gli uomini; perché altrimenti non vi sarebbero più uomini viventi nel mondo, oppure dovremmo dire che dopo le ruine siano nati altri nuovi uomini senza padri. Dunque se ve ne sono rimasti alcuni, che traevano l'origine da coloro che sono stati ab eterno, a questi uomini rimasti ben sarebbero state dai loro antenati trasmesse le antiche memorie, e da essi a noi. Poteano queste mortalità esser più grandi di quella che fu a tempo di Noè? Eppure per mezzo di quei pochi uomini rimasti salvi dal diluvio ben son pervenute a noi le notizie certe e distinte delle cose passate. Vedasi Giovanni Hooche1, ove trovansi più a lungo trattate queste materie, che qui brevemente ho scritte circa il mondo eterno. Del resto già dissi che tutte queste ragioni, per cui diciamo che il mondo non è stato eterno, sono ragioni di congruenza; ma le ragioni fondamentali sono quelle che abbiamo esposte a principio, cioè che gli enti particolari che al presente esistono, essendo, come vediamo, enti tutti prodotti, non hanno potuto aver l'essere né da sé, perché se prima non erano, non poteano darsi l'essere che non aveano, mentre il niente, niente può; né poteano aver l'essere l'un dall'altro ab aeterno senza prima cagione, perché sarebbero effetti prodotti senza cagion producente; onde sarebbero tutti dipendenti, perché tutti prodotti, ed insieme indipendenti, non avendo da altro ente la loro origine: il che è un assurdo evidente, oltre l'altro evidentissimo assurdo che, posta per vera la serie infinita di tali produzioni succedute ab aeterno, non vi potrebbe essere alcun ente che al presente esistesse; perché l'eternità è impertransibile, e l'infinità è interminabile.

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1 Sap. 13. 5. 

2 Iob. 12. 8. et 9. 

3 Rom. 1. 20. 

1 L. 1. de Coelo c. 10. 

2 Gen. 1. 1. 

3 Praepar. evang. l. 1. c. 10. 

4 L. 15. 

5 In proemio.

6 De verit. relig. Christ. Adnot. §. 16. l. 1. 

7 L. 2. ad Antolyc.

8 Advers. Appion. 2. 

9 Contra Appion. l. 1. 

10 L. 9. c. 12. 

1 Strom. 5. 

2 De Terrestr. Aquat. Anim.

3 Metamorph. 1. 

4 Georg. l. 1. 

5 L. 1. contra Giulian.

6 L. 5. 

7 L. 5. c. 16. e l. 35. c. 15. 

8 L. 16. 

9 L. 19. 

10 L. 1. c. 8. 

11 Gen. c. 5. 

1 Rel. nat. et rev. princ. t. 1. sect. 1. arg. 4. p. 25. 

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