domenica 31 ottobre 2010

Il Libro di Giobbe - Settimo appuntamento

Prosegue l'appuntamento con Il Libro di Giobbe con le parole di Giobbe, in risposta all'amico Bildad:
 
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1Giobbe rispose dicendo:

2In verità io so che è così:
e come può un uomo aver ragione innanzi a Dio?
3Se uno volesse disputare con lui,
non gli risponderebbe una volta su mille.
4Saggio di mente, potente per la forza,
chi s'è opposto a lui ed è rimasto salvo?
5Sposta le montagne e non lo sanno,
egli nella sua ira le sconvolge.
6Scuote la terra dal suo posto
e le sue colonne tremano.
7Comanda al sole ed esso non sorge
e alle stelle pone il suo sigillo.
8Egli da solo stende i cieli
e cammina sulle onde del mare.
9Crea l'Orsa e l'Orione,
le Pleiadi e i penetrali del cielo australe.
10Fa cose tanto grandi da non potersi indagare,
meraviglie da non potersi contare.
11Ecco, mi passa vicino e non lo vedo,
se ne va e di lui non m'accorgo.
12Se rapisce qualcosa, chi lo può impedire?
Chi gli può dire: "Che fai?".
13Dio non ritira la sua collera:
sotto di lui sono fiaccati i sostenitori di Raab.
14Tanto meno io potrei rispondergli,
trovare parole da dirgli!
15Se avessi anche ragione, non risponderei,
al mio giudice dovrei domandare pietà.
16Se io lo invocassi e mi rispondesse,
non crederei che voglia ascoltare la mia voce.
17Egli con una tempesta mi schiaccia,
moltiplica le mie piaghe senza ragione,
18non mi lascia riprendere il fiato,
anzi mi sazia di amarezze.
19Se si tratta di forza, è lui che dà il vigore;
se di giustizia, chi potrà citarlo?
20Se avessi ragione, il mio parlare mi
condannerebbe;
se fossi innocente, egli proverebbe che io sono reo.
21Sono innocente? Non lo so neppure io,
detesto la mia vita!
22Per questo io dico: "È la stessa cosa":
egli fa perire l'innocente e il reo!
23Se un flagello uccide all'improvviso,
della sciagura degli innocenti egli ride.
24La terra è lasciata in balìa del malfattore:
egli vela il volto dei suoi giudici;
se non lui, chi dunque sarà?
25I miei giorni passano più veloci d'un corriere,
fuggono senza godere alcun bene,
26volano come barche di giunchi,
come aquila che piomba sulla preda.
27Se dico: "Voglio dimenticare il mio gemito,
cambiare il mio volto ed essere lieto",
28mi spavento per tutti i miei dolori;
so bene che non mi dichiarerai innocente.
29Se sono colpevole,
perché affaticarmi invano?
30Anche se mi lavassi con la neve
e pulissi con la soda le mie mani,
31allora tu mi tufferesti in un pantano
e in orrore mi avrebbero le mie vesti.
32Poiché non è uomo come me, che io possa
rispondergli:
"Presentiamoci alla pari in giudizio".
33Non c'è fra noi due un arbitro
che ponga la mano su noi due.
34Allontani da me la sua verga
sì che non mi spaventi il suo terrore:
35allora io potrò parlare senza temerlo,
perché così non sono in me stesso.


COMMENTO


Oggi vediamo la prima parte della risposta che Giobbe dà al suo amico Bildad, il quale, come sappiamo, aveva espresso la convinzione che Dio non potesse punire i giusti, ma solo gli empi. Un pensiero lineare, che però verrà confutato non solo nel prosieguo della lettura, ma anche da Gesù stesso nel Vangelo, nel famoso episodio sul quale egli si sofferma e cioè la rovina della Torre di Siloe. 

Giobbe sembra dar inizialmente ragione al suo amico, salvo poi tornare al suo pensiero originale e cioè che Dio, in realtà, punisce giusti e ingiusti, empi e retti, allo stesso tempo. Una visione dura, altamente pessimistica, che non riesce a cogliere l'aspetto di Dio e ciò che Egli compie. Ovviamente provato dalle sventure e dalle disgrazie capitategli, Giobbe non è lucido nel suo parlare e vede la vita da una prospettiva che mostra un forte pessimismo cosmico: ad un certo punto dice qualcosa di estremamente grave e cioè afferma di detestare la sua stessa vita. Noi sappiamo che la vita è un dono prezioso, inviolabile diritto di ogni persona umana: come si può detestare il dono più prezioso dell'esistenza? Senza vita, vi sarebbe il nulla. Ma possiamo comprendere il motivo che ha spinto Giobbe a pronunciare una simile frase: aver perso gli affetti è qualcosa che lo ha turbato, inaridito, colpito nel cuore; e nessuno può dire che non sia una reazione comprensiva, visto che anche noi, quando perdiamo qualcuno, ci sentiamo quasi morire dentro e tutto ci sembra ingiusto. Ma questo è il ciclo della vita e comunque, noi non dobbiamo esser disperati o tristi o arrabbiati poiché i nostri cari non sono morti permanentemente: se essi hanno creduto e confidato in Dio, allora vedranno la Luce della Gloria e la vita eterna. I vescovi di oggi hanno deciso di interiorizzare le cerimonie funebri proprio per far comprendere che non si celebra solo un lutto, ma si celebra il mistero di Cristo poiché i defunti vedranno la Luce di Cristo e risorgeranno nell'ultimo giorno: tutti noi perderemo la vita, ma troveremo Cristo e la vita eterna se saremo degni di questo. 

Dunque, Giobbe ha una visione non imparziale né lucida, ma chiaramente influenzata e quindi le sue parole di una durezza molto forte, non devono esser prese alla lettera come verità, anche se c'è un fondo di verità: viene colpito sia il giusto che l'empio, ma non per il motivo che pensa Giobbe e cioè che dinanzi a Dio non vi può essere innocenza o uguaglianza, ma perchè attraverso la sventura, Dio ci chiama alla conversione, al riconoscere che siamo nulla senza di Lui. Gesù ci ha mostrato come la sofferenza non sia un'ingiustizia o una punizione, ma un modo per entrare in comunione con Lui che ha patito il dolore e la morte per amore nei nostri confronti. E i santi come San Pio o San Francesco che hanno avuto il segno delle stigmate sulle mani, ce l'hanno mostrato!

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