domenica 10 ottobre 2010

Il Libro di Giobbe - Quarta parte

Continuiamo ad osservare la storia di Giobbe, con la prosecuzione del discorso dell'amico Elifaz:
 
1Chiama, dunque! Ti risponderà forse qualcuno?
E a chi fra i santi ti rivolgerai?
2Poiché allo stolto dà morte lo sdegno
e la collera fa morire lo sciocco.
3Io ho visto lo stolto metter radici,
ma imputridire la sua dimora all'istante.
4I suoi figli sono lungi dal prosperare,
sono oppressi alla porta, senza difensore;
5l'affamato ne divora la messe
e gente assetata ne succhia gli averi.
6Non esce certo dalla polvere la sventura
né germoglia dalla terra il dolore,
7ma è l'uomo che genera pene,
come le scintille volano in alto.
8Io, invece, mi rivolgerei a Dio
e a Dio esporrei la mia causa:
9a lui, che fa cose grandi e incomprensibili,
meraviglie senza numero,
10che dà la pioggia alla terra
e manda le acque sulle campagne.
11Colloca gli umili in alto
e gli afflitti solleva a prosperità;
12rende vani i pensieri degli scaltri
e le loro mani non ne compiono i disegni;
13coglie di sorpresa i saggi nella loro astuzia
e manda in rovina il consiglio degli scaltri.
14Di giorno incappano nel buio
e brancolano in pieno sole come di notte,
15mentre egli salva dalla loro spada l'oppresso,
e il meschino dalla mano del prepotente.
16C'è speranza per il misero
e l'ingiustizia chiude la bocca.
17Felice l'uomo, che è corretto da Dio:
perciò tu non sdegnare la correzione
dell'Onnipotente,
18perché egli fa la piaga e la fascia,
ferisce e la sua mano risana.
19Da sei tribolazioni ti libererà
e alla settima non ti toccherà il male;
20nella carestia ti scamperà dalla morte
e in guerra dal colpo della spada;
21sarai al riparo dal flagello della lingua,
né temerai quando giunge la rovina.
22Della rovina e della fame ti riderai
né temerai le bestie selvatiche;
23con le pietre del campo avrai un patto
e le bestie selvatiche saranno in pace con te.
24Conoscerai la prosperità della tua tenda,
visiterai la tua proprietà e non sarai deluso.
25Vedrai, numerosa, la prole,
i tuoi rampolli come l'erba dei prati.
26Te ne andrai alla tomba in piena maturità,
come si ammucchia il grano a suo tempo.
27Ecco, questo abbiamo osservato: è così.
Ascoltalo e sappilo per tuo bene.


COMMENTO
 

Continua il discorso di Elifaz che, come vedemmo a suo tempo, si sofferma esattamente sul pensiero che agli empi capitano le sventure mentre ai giunti tutto questo non avviene. In questo passo c'è sicuramente l'errore del pensiero di Elifaz nella parte in cui pensa che le disgrazie accadino solo agli empi per la loro empietà e la scorsa volta vedemmo il perchè, anche alla luce delle considerazioni di Gesù. Però in questo pezzo c'è anche un fondo di verità, secondo me: vedete, anche se non ora, l'empio non raccoglierà frutto dalla sua semina perchè alla fine pagherà la sua empietà. Egli fa affidamento su se stesso e non su Dio e per questo ogni cosa che fa è resa vana dalle piaghe che incombono su di lui. In realtà, questo sarà così dopo la morte e non necessariamente in vita. Le disgrazie che Dio manda all'empio non sono ancora veri e propri castighi che derivano dall'empietà della sua azione: la disgrazia che Dio invia ha il preciso compito di risvegliare la coscienza dell'empio e di fargli capire che non può contare su sé stesso, ma che può contare su Dio sempre pronto ad aiutare e perdonare. 

Quindi Elifaz non distingue bene l'opera di Dio e diciamo che vede tutto bianco e nero, senza tener presente che Dio ama ogni uomo e che dà lui fino alla fine, la possibilità di pentirsi sinceramente per scampare alla punizione e alla Giustizia Divina. Se Dio non amasse gli uomini, allora manderebbe sventure a tutti noi perchè c'è empietà in quasi tutti noi: chi si salverebbe se Dio tenesse in conto la nostra condotta? Pochi. Ma Gesù disse che ciò che era impossibile all'uomo era possibile a Dio e quindi ciò che noi riteniamo impossibile come la alvezza o la conversione o il pentimento dell'empio, è possibile a Dio! 

Elifaz giudica da uomo secondo il pensiero di uomo: mentre Gesù ci chiama a pensare e giudicare non secondo il pensiero degli uomini, ma secondo il pensiero di Dio il quale è imperniato sulla misericordia e l'amore. 
Io avrei usato le parole di Elifaz per raffigurare la sorte dell'empio che non si converte e del giusto che nonostante le tribolazioni, confida e si rifugia nel Signore come Davide. Infatti, l'empio che non si pente va incontro alla rovina e raccoglierà il male che ha seminato; allo stesso modo, il giusto che avrà perseverato e che avrà confidato nel Signore nonostante tutto (un pò come Giobbe che nonostante le sventure non osa pronunciare una sola parola contro Dio), raccoglierà il bene che ha seminato e Dio lo ricoprirà di ogni sorta di benedizione, per sempre!


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