martedì 17 maggio 2011
La Città di Dio - XVIII parte
Riprendiamo la lettura dell'opera di Sant'Agostino nota come "La città di Dio". Il pensiero agostiniano si sposta maggiormente sul terreno della moralità romana: egli prova il suo pensiero persino attraverso le citazioni di illustri testimoni, tra i quali anche il celebre Sallustio il quale ammise nei suoi scritti che Roma, dopo la caduta di Cartagine, si trasformò da ente morale in ente depravato. Sant'Agostino, partendo proprio dalle parole di Sallustio, fa capire come la moralità romana era solo frutto della paura della guerra contro i cartaginesi e mostra anche come, in realtà, il problema è che a Roma mancava una vera norma morale come quella trasmessa successivamente da Gesù Cristo:
18. 1. M'impongo un limite dunque e preferisco addurre come testimone Sallustio che a difesa dei Romani ha espresso quel giudizio da cui ha avuto inizio questo nostro discorso: Il diritto e la morale presso di loro non avevano efficacia in virtù delle leggi, ma della natura 31. Lodava quel tempo in cui, dopo l'espulsione dei re, lo Stato fece rapidi progressi in un periodo di tempo incredibilmente breve. Tuttavia nel primo libro della sua storia e quasi all'inizio di esso ammette che anche allora, quando l'amministrazione dello Stato passò dai re ai consoli, dopo poco tempo nella città si ebbero le ingiustizie dei potenti, il dissidio fra plebe e patrizi e altre discordie civili. Egli ricorda, è vero, che il popolo romano visse con grande moralità e massima concordia fra la seconda e l'ultima guerra cartaginese ma dice che causa di questa moralità non fu l'amore della giustizia ma il timore di una pace malsicura perché Cartagine era ancora in piedi. Per questo anche il grande Nasica per reprimere la dissolutezza e conservare i buoni costumi in modo che i vizi fossero repressi dal timore non voleva che Cartagine fosse distrutta. Il citato Sallustio soggiungeva: Ma la discordia, l'amore alle ricchezze e al potere e gli altri mali che di solito provengono dal benessere, dopo la distruzione di Cartagine, crebbero a dismisura 32. Ci fa capire dunque che anche prima di solito sorgevano e crescevano. E adducendo le ragioni del suo pensiero prosegue: Infatti le ingiustizie dei potenti e a causa di esse il dissidio della plebe con i patrizi e le altre discordie si ebbero in città fin dal principio e soltanto durante l'espulsione dei re, quando si ebbero il timore da parte di Tarquinio e la difficile guerra con l'Etruria, si amministrò con legislazione giusta e moderata 33. Puoi notare per quale motivo abbia detto che il timore fu la causa per cui, per breve tempo, con la cacciata ossia espulsione dei re, si amministrò in certo senso con legislazione giusta e moderata. Si temeva la guerra che il re Tarquinio, estromesso dal regno e da Roma e alleatosi con gli Etruschi, conduceva contro i Romani. Ascolta dunque che cosa soggiunge: In seguito i patrizi trattarono la plebe come schiava, ne disposero della vita e dell'opera con diritto regio, la privarono della proprietà dei campi e amministrarono da soli con l'esclusione di tutti gli altri. La plebe, oppressa dalle vessazioni e soprattutto dalle tasse giacché doveva subire l'imposta e insieme il servizio militare per le continue guerre, occupò armata il monte sacro e l'Aventino e così rivendicò i tribuni della plebe e gli altri diritti. Fine delle discordie e della lotta fra le due parti fu la seconda guerra punica 34. Puoi notare da quale tempo, e cioè dal breve tempo dopo la cacciata dei re, come siano vissuti i Romani di cui ha detto: Il diritto e la morale presso di loro non avevano efficacia in virtù delle leggi ma della natura.
18. 2. Ora se si costata che quel periodo si deve giudicare favorevolmente perché si ritiene che allora lo Stato romano fu eticamente perfetto, che cosa dovremmo dire e pensare del periodo successivo? Infatti lo Stato, trasformatosi a poco a poco, per usare le parole del medesimo storico, da eticamente perfetto è divenuto eticamente depravato 35, cioè, come ha già detto, dopo la distruzione di Cartagine. Si può leggere nella sua Storia come Sallustio narra e giudica in succinto quei tempi e in considerazione di quali mali, provenienti dal benessere, dimostra che si è giunti alle guerre civili. Da quel tempo, egli dice, i costumi dei nostri antenati andarono alla rovina, non un po' alla volta come prima, ma con l'impeto di un torrente, la gioventù divenne talmente dissipata dall'amore del fasto e del denaro tanto da poter dire giustamente che erano stati messi al mondo individui incapaci di avere un patrimonio e insofferenti che altri lo avessero 36. Sallustio aggiunge molte osservazioni sui vizi di Silla e sulla depravazione dello Stato e gli altri scrittori sono d'accordo, sebbene con uno stile molto inferiore.
18. 3. Si può osservare tuttavia, come penso, e se si riflette facilmente si può giudicare fino a qual punto con il dilagare dell'immoralità lo Stato fosse decaduto prima della venuta del nostro re celeste. I fatti avvennero non solo prima che Cristo presente nel mondo avesse cominciato a insegnare ma anche prima che fosse nato da una vergine. In definitiva i Romani non osano imputare tanti e così gravi mali di quei tempi, o sopportabili prima o insopportabili e orribili dopo la distruzione di Cartagine, ai propri dèi che con malvagia astuzia istillano nelle coscienze umane dei pregiudizi per cui tali vizi infittiscono. E allora perché imputano i mali presenti a Cristo che con una dottrina di salvezza vieta di adorare dèi falsi e bugiardi e denunziando e condannando con divina autorità le dannose e criminose passioni umane, gradualmente in ogni dove riscatta da questi mali la propria famiglia e la sottrae al mondo che rovina nel malcostume? Da essa fonderà una città eterna veramente gloriosa non per lo strepito della vanagloria ma per il giudizio della verità.
19. Dunque lo Stato romano, trasformandosi un po' alla volta, da eticamente perfetto è divenuto eticamente molto depravato. Non lo dico io per primo ma i loro scrittori, da cui lo abbiamo appreso pagando, lo hanno detto tanto tempo prima della venuta di Cristo. Dunque prima della venuta di Cristo e dopo la distruzione di Cartagine i costumi dei nostri antenati andarono alla rovina non un po' alla volta come prima, ma con l'impeto di un torrente, tanto la gioventù era divenuta depravata per amore del fasto e del denaro 37. Ed ora ci leggano i comandamenti dei loro dèi al popolo romano contro l'amore del fasto e del denaro. E magari gli avessero celato continenza e moderazione e non gli avessero richiesto anche incontinenza e depravazione, alla quale davano una dannosa autorizzazione con una falsa autorità divina. Leggano poi attraverso i profeti, il santo Vangelo, gli Atti e le Lettere degli Apostoli, i nostri numerosi comandamenti contro l'amore al denaro e al piacere. Essi non sono proposti con frastuono come nelle controversie dei filosofi ma risuonano con divina autorevolezza attraverso le parole di Dio quasi provenienti da oltre le nubi agli uomini di ogni nazione adunati in assemblea a questo scopo. Eppure i Romani non imputano ai loro dèi che lo Stato prima della venuta di Cristo era eticamente decaduto a causa dell'amore al fasto e al denaro e di costumi crudeli e depravati, ma rimbrottano alla religione cristiana ogni sciagura che in questo tempo la loro superbia e mollezza hanno potuto subire. Ma se i re della terra e tutti i popoli, i magistrati e tutti i giudici della terra, ragazzi e ragazze, anziani e giovani 38, ogni età capace di ragionare ed entrambi i sessi e perfino i gabellieri e i soldati, cui si rivolge Giovanni il Battezzatore 39, si preoccupassero di ascoltare insieme i suoi comandamenti di giusta e onesta moralità, lo Stato abbellirebbe col proprio benessere la piattezza della vita presente e scalerebbe la vetta della vita eterna per regnare in una perfetta felicità. Ma poiché un tale ascolta, l'altro disprezza e molti sono più amici dei vizi i quali lusingano al male che della vantaggiosa asprezza delle virtù, ai servi di Cristo, siano essi re, magistrati o giudici, siano soldati o abitanti delle province, siano ricchi o poveri, liberi o schiavi, d'entrambi i sessi, si comanda di sopportare perfino uno Stato moralmente corrotto e, se è necessario, anche ingiusto e di prepararsi anche con questa sopportazione un luogo distinto nell'assemblea veramente santa e augusta degli angeli e nello Stato del cielo, in cui è legge la volontà di Dio.
18. 1. M'impongo un limite dunque e preferisco addurre come testimone Sallustio che a difesa dei Romani ha espresso quel giudizio da cui ha avuto inizio questo nostro discorso: Il diritto e la morale presso di loro non avevano efficacia in virtù delle leggi, ma della natura 31. Lodava quel tempo in cui, dopo l'espulsione dei re, lo Stato fece rapidi progressi in un periodo di tempo incredibilmente breve. Tuttavia nel primo libro della sua storia e quasi all'inizio di esso ammette che anche allora, quando l'amministrazione dello Stato passò dai re ai consoli, dopo poco tempo nella città si ebbero le ingiustizie dei potenti, il dissidio fra plebe e patrizi e altre discordie civili. Egli ricorda, è vero, che il popolo romano visse con grande moralità e massima concordia fra la seconda e l'ultima guerra cartaginese ma dice che causa di questa moralità non fu l'amore della giustizia ma il timore di una pace malsicura perché Cartagine era ancora in piedi. Per questo anche il grande Nasica per reprimere la dissolutezza e conservare i buoni costumi in modo che i vizi fossero repressi dal timore non voleva che Cartagine fosse distrutta. Il citato Sallustio soggiungeva: Ma la discordia, l'amore alle ricchezze e al potere e gli altri mali che di solito provengono dal benessere, dopo la distruzione di Cartagine, crebbero a dismisura 32. Ci fa capire dunque che anche prima di solito sorgevano e crescevano. E adducendo le ragioni del suo pensiero prosegue: Infatti le ingiustizie dei potenti e a causa di esse il dissidio della plebe con i patrizi e le altre discordie si ebbero in città fin dal principio e soltanto durante l'espulsione dei re, quando si ebbero il timore da parte di Tarquinio e la difficile guerra con l'Etruria, si amministrò con legislazione giusta e moderata 33. Puoi notare per quale motivo abbia detto che il timore fu la causa per cui, per breve tempo, con la cacciata ossia espulsione dei re, si amministrò in certo senso con legislazione giusta e moderata. Si temeva la guerra che il re Tarquinio, estromesso dal regno e da Roma e alleatosi con gli Etruschi, conduceva contro i Romani. Ascolta dunque che cosa soggiunge: In seguito i patrizi trattarono la plebe come schiava, ne disposero della vita e dell'opera con diritto regio, la privarono della proprietà dei campi e amministrarono da soli con l'esclusione di tutti gli altri. La plebe, oppressa dalle vessazioni e soprattutto dalle tasse giacché doveva subire l'imposta e insieme il servizio militare per le continue guerre, occupò armata il monte sacro e l'Aventino e così rivendicò i tribuni della plebe e gli altri diritti. Fine delle discordie e della lotta fra le due parti fu la seconda guerra punica 34. Puoi notare da quale tempo, e cioè dal breve tempo dopo la cacciata dei re, come siano vissuti i Romani di cui ha detto: Il diritto e la morale presso di loro non avevano efficacia in virtù delle leggi ma della natura.
18. 2. Ora se si costata che quel periodo si deve giudicare favorevolmente perché si ritiene che allora lo Stato romano fu eticamente perfetto, che cosa dovremmo dire e pensare del periodo successivo? Infatti lo Stato, trasformatosi a poco a poco, per usare le parole del medesimo storico, da eticamente perfetto è divenuto eticamente depravato 35, cioè, come ha già detto, dopo la distruzione di Cartagine. Si può leggere nella sua Storia come Sallustio narra e giudica in succinto quei tempi e in considerazione di quali mali, provenienti dal benessere, dimostra che si è giunti alle guerre civili. Da quel tempo, egli dice, i costumi dei nostri antenati andarono alla rovina, non un po' alla volta come prima, ma con l'impeto di un torrente, la gioventù divenne talmente dissipata dall'amore del fasto e del denaro tanto da poter dire giustamente che erano stati messi al mondo individui incapaci di avere un patrimonio e insofferenti che altri lo avessero 36. Sallustio aggiunge molte osservazioni sui vizi di Silla e sulla depravazione dello Stato e gli altri scrittori sono d'accordo, sebbene con uno stile molto inferiore.
18. 3. Si può osservare tuttavia, come penso, e se si riflette facilmente si può giudicare fino a qual punto con il dilagare dell'immoralità lo Stato fosse decaduto prima della venuta del nostro re celeste. I fatti avvennero non solo prima che Cristo presente nel mondo avesse cominciato a insegnare ma anche prima che fosse nato da una vergine. In definitiva i Romani non osano imputare tanti e così gravi mali di quei tempi, o sopportabili prima o insopportabili e orribili dopo la distruzione di Cartagine, ai propri dèi che con malvagia astuzia istillano nelle coscienze umane dei pregiudizi per cui tali vizi infittiscono. E allora perché imputano i mali presenti a Cristo che con una dottrina di salvezza vieta di adorare dèi falsi e bugiardi e denunziando e condannando con divina autorità le dannose e criminose passioni umane, gradualmente in ogni dove riscatta da questi mali la propria famiglia e la sottrae al mondo che rovina nel malcostume? Da essa fonderà una città eterna veramente gloriosa non per lo strepito della vanagloria ma per il giudizio della verità.
19. Dunque lo Stato romano, trasformandosi un po' alla volta, da eticamente perfetto è divenuto eticamente molto depravato. Non lo dico io per primo ma i loro scrittori, da cui lo abbiamo appreso pagando, lo hanno detto tanto tempo prima della venuta di Cristo. Dunque prima della venuta di Cristo e dopo la distruzione di Cartagine i costumi dei nostri antenati andarono alla rovina non un po' alla volta come prima, ma con l'impeto di un torrente, tanto la gioventù era divenuta depravata per amore del fasto e del denaro 37. Ed ora ci leggano i comandamenti dei loro dèi al popolo romano contro l'amore del fasto e del denaro. E magari gli avessero celato continenza e moderazione e non gli avessero richiesto anche incontinenza e depravazione, alla quale davano una dannosa autorizzazione con una falsa autorità divina. Leggano poi attraverso i profeti, il santo Vangelo, gli Atti e le Lettere degli Apostoli, i nostri numerosi comandamenti contro l'amore al denaro e al piacere. Essi non sono proposti con frastuono come nelle controversie dei filosofi ma risuonano con divina autorevolezza attraverso le parole di Dio quasi provenienti da oltre le nubi agli uomini di ogni nazione adunati in assemblea a questo scopo. Eppure i Romani non imputano ai loro dèi che lo Stato prima della venuta di Cristo era eticamente decaduto a causa dell'amore al fasto e al denaro e di costumi crudeli e depravati, ma rimbrottano alla religione cristiana ogni sciagura che in questo tempo la loro superbia e mollezza hanno potuto subire. Ma se i re della terra e tutti i popoli, i magistrati e tutti i giudici della terra, ragazzi e ragazze, anziani e giovani 38, ogni età capace di ragionare ed entrambi i sessi e perfino i gabellieri e i soldati, cui si rivolge Giovanni il Battezzatore 39, si preoccupassero di ascoltare insieme i suoi comandamenti di giusta e onesta moralità, lo Stato abbellirebbe col proprio benessere la piattezza della vita presente e scalerebbe la vetta della vita eterna per regnare in una perfetta felicità. Ma poiché un tale ascolta, l'altro disprezza e molti sono più amici dei vizi i quali lusingano al male che della vantaggiosa asprezza delle virtù, ai servi di Cristo, siano essi re, magistrati o giudici, siano soldati o abitanti delle province, siano ricchi o poveri, liberi o schiavi, d'entrambi i sessi, si comanda di sopportare perfino uno Stato moralmente corrotto e, se è necessario, anche ingiusto e di prepararsi anche con questa sopportazione un luogo distinto nell'assemblea veramente santa e augusta degli angeli e nello Stato del cielo, in cui è legge la volontà di Dio.
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