Immergiamoci dunque in questa lettura apologetica accessibile a chiunque grazie al lavoro del Santo Vescovo partenopeo il quale preghiamo perché ci aiuti a meditare e a conservare nel cuore queste sante meditazioni, sperando possano essere di aiuto non solo a noi ma anche a quanti desiderano accostarsi alle "Verità della Fede" facilmente comprensibili grazie a quest'operetta del Fondatore dei Redentoristi:
mercoledì 16 marzo 2011
Verità della Fede - VIII parte
Prosegue l'approfondimento sulle "Verità della Fede" attraverso le attente analisi di Sant'Alfonso Maria de' Liguori con il Paragrafo 2 del Cap. VI nel quale il Santo Vescovo Dottore della Chiesa e Fondatore dei Redentoristi confuta le opinioni di Epicuro, Hobbes e Stratone i quali sostengono che la materia possa pensare. Toccherà dunque al de' Liguori (Santo) dimostrare il contrario, ovvero che il pensiero è di natura spirituale e non materiale come sostenuto dai tre sopra elencati.
Immergiamoci dunque in questa lettura apologetica accessibile a chiunque grazie al lavoro del Santo Vescovo partenopeo il quale preghiamo perché ci aiuti a meditare e a conservare nel cuore queste sante meditazioni, sperando possano essere di aiuto non solo a noi ma anche a quanti desiderano accostarsi alle "Verità della Fede" facilmente comprensibili grazie a quest'operetta del Fondatore dei Redentoristi:
Immergiamoci dunque in questa lettura apologetica accessibile a chiunque grazie al lavoro del Santo Vescovo partenopeo il quale preghiamo perché ci aiuti a meditare e a conservare nel cuore queste sante meditazioni, sperando possano essere di aiuto non solo a noi ma anche a quanti desiderano accostarsi alle "Verità della Fede" facilmente comprensibili grazie a quest'operetta del Fondatore dei Redentoristi:
Verità della Fede
di Sant'Alfonso Maria de' Liguori
§. 2. Si confutano le tre opinioni secondo le quali difendono i materialisti che la materia può pensare.
15. La prima opinione fu di Epicuro, il quale disse che la virtù di pensare sta annessa alla materia, e nasce dalle sue diverse affezioni, cioè dalla sua grandezza, figura, sito e moto. La seconda opinione è di Hobbes, il quale scrisse che il pensare nasce solamente dal moto delle particelle materiali. La terza opinione fu di Stratone (come portano) il quale disse che il pensare è una virtù insita naturalmente nella materia.
16. La prima opinione di Epicuro, che il cogitare dipende dalle diverse affezioni di figura, di sito ecc., è chiaramente falsa; perché tali affezioni non possono mai mutar la natura della materia. Se il sito, la figura ed il moto inducessero la cogitazione nella materia, farebbero che il tutto avesse diversa natura dalle sue parti, le quali confessa Epicuro non aver forza di pensare. La natura del tutto che è l'unione delle parti, non può esser differente dalla natura delle parti; altrimenti basterebbe dividere un corpo, o fargli mutar figura o sito per fargli mutar natura. Sicché volendo gli epicurei far nascere la cogitazione da quelle affezioni, vogliono farla nascere dal niente e senza causa efficiente; mentre le affezioni naturali della materia non sono né possono esser altro che la stessa materia.
17. Parimente falsa è la seconda opinione di Hobbes, che il pensiero nasce solamente dal moto della materia. Ma che mai ha che fare l'idea del moto coll'idea del pensiero? Il moto non può cagionar altro che la divisione o l'aumentazione, o pure la diversa situazione della materia; ma come queste cose possono formare la cogitazione? Se poi i moti della materia fossero pensieri, ogni nuovo moto cagionerebbe nuovo pensiero, anzi sarebbe lo stesso pensiero: cosa che lo stesso Hobbes nega.
18. Ma udiamo nel di lui sistema come mai si formi il pensiero dal moto della materia. Ecco com'egli lo spiega: Causa sensionis est externum corpus, quod premit organum proprium, et premendo efficit motum introrsum ad cerebrum, et inde ad cor; unde nascitur cordis conatus liberantis se a pressione per motum tendentem extrorsum (che è quel moto chiamato da lui reazione) qui motus apparet tanquam aliquid externum; alque apparitionem hanc, sive phantasma vocamus sensionem, cioè cogitationem; così l'intende Hobbes nel suo Leviathan, cap. I. Ma questo ognuno lo vede che non è parlar da filosofo, ma da pazzo. E pure oggidì questo, o simile a questo è il filosofare alla moda che fin nella nostra Italia si è intruso, ed ha rovinati tanti poveri giovani, che, desiderosi di acquistare nuove cognizioni, e amanti di libertà, essendo spinti dal bollor giovanile, a fin di menare una vita più tranquilla ed esente dai timori, come dicono, della gente pregiudicata, facilmente s'inducono a credere queste inezie, o pure a dubitar delle verità della fede; e così si abbandonano poi a' vizj, vantandosi del nome infame dispiriti forti, e disprezzano religione, Dio e tutto. Oh miseria! Iddio gli ha creati a similitudine di se stesso, ed essi studiano per rendersi simili alle bestie.
19. Ma veniamo al punto. Se i moti di tali particelle fossero pensieri, o cagionassero il pensiero, tutti i pensieri nascerebbero in noi necessariamente da ogni moto di tali parti e tutti a caso e senza consiglio; sicché non vi sarebbe più in noi né libertà di pensare, né sapienza né previdenza del futuro; le quali cose all'incontro noi sperimentiamo in noi stessi che sono di nostra elezione.
20. Di più le ricordanze che noi spesso abbiamo sulle cose passate, e le riflessioni che sopra di quelle facciamo, sono in noi per momenti, come vediamo; mentre ci ricordiamo di tanti fatti avvenuti da molto tempo, e sopra quelli ci fermiamo a riflettere. Ma se queste riflessioni non fossero altro che moti della materia, cioè del nostro cervello e sangue e fantasmi che riceviamo dagli oggetti esterni, il soggetto della cogitazione non sarebbe più permanente, ma passaggiero, siccome è passaggiero il moto della materia; sicché non potremmo più riflettere sulle nostre percezioni, né averne più memoria. Per averne memoria dovrebbe dirsi che quella percezione avrebbe da trasferirsi per più anni successivamente, con mantenersi sempre fermo il suo sistema delle particelle; altrimenti, mutandosi quella figura, svanirebbe la percezione e la memoria di quella.
21. Chi volesse poi ricorrere all'opinione de' peripatetici, i quali dicono che gli oggetti materiali mandano in noi certi fantasmi di materia tenue e sottile, e che questi per mezzo de' pori s'insinuano al cerebro, e fanno nascere il pensiero, terrebbe per altro un'opinione che oggi è riprovata da tutti i moderni. Del resto gli stessi peripatetici dicono tutti assolutamente che l'anima è sempre quella che pensa, non già la materia o sia il cerebro.
22. La terza opinione finalmente di Stratone, che la virtù di cogitare è insita nella stessa materia, che per sé è cogitante, è più falsa ed insussistente delle altre. La ragione è, come già dicemmo di sopra, che nella materia non possiamo noi considerare altre qualità, che di estensione, divisione, mobilità e figura, ma non già di percezione o pensiero. Se il pensiero appartenesse all'essenza della materia, come dicono gli stratonici, ogni parte di materia, siccome contiene in sé la sua estensione e la sua figura, conterrebbe ancora il pensiero; in modo che ogni parte del nostro corpo avrebbe facoltà di pensare, e penserebbe. Ma chi mai può figurarsi questa inezia così grande?
23. La cogitazione ripugna per se stessa alla natura della materia, ch'è una sostanza composta di diverse particelle separabili tra loro e distinte; ma la cogitazione non è divisibile, perché non è composta di parti, ma tutta semplice ed individua; giacché l'uomo nello stesso istante senza successione di tempo, con un solo atto, pensando alle cose, or giudica di quelle, or ne disegna altre, or prevede le future. Ora tali pensieri non possono esser composti di più parti, poiché, se per esempio la virtù di pensare consistesse nell'unione delle parti A B C, quella virtù o sarebbe in ciascuna delle parti o nella cognizione di quelle: non può essere in ciascuna parte; perché la qualità materiale individua della parte A non può essere individua della parte B, mentre ciascuna parte di materia ha la sua propria natura individuale, e la qualità individuale d'una parte, non può esser qualità individuale d'un'altra; sicché, essendo elleno di diversa natura individuale, non formerebbero un solo pensiero, ma tanti pensieri, quant'elle sono. Neppure può consistere la virtù di cogitare nell'unione di più parti; perché, come si è detto di sopra, la qualità naturale di qualche tutto non può esser diversa dalla qualità delle sue parti, poiché il tutto differirebbe da se stesso; ond'è che se le parti non fossero estese, non potrebbe essere esteso il tutto; e se le parti non potessero muoversi, neppure il tutto potrebbe aver moto. E perciò, se le parti non han virtù di pensare, stando elle separate, per ragion che quella virtù starebbe divisa tra le parti, neppure il tutto può pensare.
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