mercoledì 23 marzo 2011

Verità della Fede - IX parte

Anche per questo mercoledì proseguiamo gli approfondimenti sulle "Verità della Fede" attraverso le attente analisi di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Siamo giunti al Paragrafo 3 del Cap. VI nel quale il Santo Vescovo Dottore della Chiesa e Fondatore dei Redentoristi confuta le parole dell'ateo Hobbes.



Verità della Fede

di Sant'Alfonso Maria de' Liguori

§. 3. Si confuta particolarmente quel che scrive Hobbes sopra lo stesso punto della materia pensante.

24. Diceva Hobbes1 che la materia è quella che pensa, e che la percezione consiste nell'azione del fantasma, o sia cumulo di particelle inviate al nostro cerebro dagli oggetti esterni, e la riflessone della percezione consiste nella reazione delle parti del nostro medesimo cerebro. Rispondiamo primieramente che, se il pensiero non si formasse d'altro modo che secondo questo insussistente e ridicolo sistema di particelle materiali interne ed esterne che agiscono, l'anima non potrebbe intendere altre cose, se non quelle che sono soggette a' sensi. Ma noi intendiamo tante cose che non s'appartengono a' sensi, ma sono puramente spirituali, come sono le idee delle virtù della giustizia, della prudenza, della pietà, le idee della natura o sia essenza degli oggetti, i pericoli di cose future, le conclusioni geometriche, e tutti gli atti d'intelletto o di volontà com'è il distinguere, l'astraere, il volere o non volere. Qual matto può dir mai che dicendo taluno voglio o non voglio, quell'atto di volontà sia cagionato dalla mozione delle parti del cerebro?

25. Ma anche parlando delle percezioni che si fanno per via de' sensi, queste non possono affatto consistere nelle mozioni cagionate da' fantasmi che vengono dagli oggetti esterni. La ragione è perché se tali mozioni formassero le percezioni e le riflessioni coll'azione e reazione, come sogna Hobbes, essendo questi atti del cerebro diversi e distinti, anche le mozioni sarebbero diverse tra loro; e non potrebbero mai unirsi a formare un pensiero che fosse nello stesso tempo percezione e riflessione; ma noi esperimentiamo che spesso nella nostra mente si fa nello stesso tempo la percezione e la riflessione sopra il medesimo oggetto. Non vale poi il dire che quelle due mozioni si uniscono insieme e formano nel tempo stesso la percezione e riflessione; perché essendo elle diverse e distinte, come abbiam detto, unite insieme non potrebbero cagionare che una nuova terza mozione, diversa da ambedue, sicché da tale unione ne dovrebbe sorgere una nuova cognizione diversa dalla percezione e riflessione avute prima. E se colla mozione delle parti l'uomo non potesse mai percepire e riflettere nello stesso tempo su d'una cosa, tanto meno potrebbe formarne un giudizio, che si fa coll'unione formata da due idee, cioè dal soggetto e dal predicato: perché queste due idee dovrebbero dipendere da due mozioni tutte diverse, delle quali l'una distruggerebbe l'altra o si confonderebbe con essa. Tanto meno potrebbe formare l'uomo un raziocinio o sia sillogismo, ch'è composto di tre giudizj uniti insieme; perché, se tal raziocinio si formasse da tre mozioni della materia, queste non potrebbero mai insieme unirsi; poiché la prima mozione sarebbe distrutta o almen perturbata dalla seconda, e la seconda confusa dalla terza. Ma ciò si è spiegato già più a lungo nel §. I. di questo capo.

26. Inoltre noi sperimentiamo che le nostre idee rimangono spesso per lungo tempo nella nostra mente; ma ciò non potrebbe avvenire, se le idee fossero formate solamente dalle mozioni materiali, perché queste mozioni non possono durare se non per momenti. Tanto più che spesso sopravvengono nuovi fantasmi dalle cose esterne, i quali confonderebbero le mozioni precedenti, e perciò le idee formate dalle prime mozioni non potrebbero in noi permanere per notabile tempo.

27. Inoltre diciamo che tutte le sensazioni che noi riceviamo dagli oggetti esterni, non sono azioni del corpo, ma dell'anima che in noi risiede. Tanto è vero, che quando l'anima è distratta da qualche pensiero di gran conseguenza, e non attende a' moti del corpo, allora niente intende anche delle cose sensibili, e non sente neppure il dolore cagionato dal ferro o dal fuoco. E perché? Perché il dolore non si sente dal corpo, ma dall'anima. La pressione dei moti esterni fa bensì che l'anima, per lo mutuo consenso che ha col corpo, percepisca le cose esterne; ma la percezione, che non può consistere in essi moti, sempre si fa dall'anima, non dal corpo. Tanto più che l'anima, come di sopra si è detto, a suo arbitrio produce tanti pensieri, or di cose lontane, or di passate, or di future, or di possibili, ora di astratte, ora di comparazioni, ora di distinzioni; tutti i quali pensieri non soggiacciono a' sensi. Ciò non può certamente operarlo in noi alcuna materia, essendo sostanza inerte e priva d'ogni virtù a muoversi da sé liberamente. Già vediamo che quel che cogita in noi è una sostanza tale, che a suo arbitrio può deliberare di preferire il pensiero d'una cosa ad un'altra. Ella in un momento può a sua libertà girare il pensiero al cielo, alla terra, al mare; ella può voltarsi a luoghi lontani e farseli presenti; ma secondo Hobbes le mozioni del cerebro non si fanno che necessariamente e dagli oggetti che sono presenti, né possono affatto venire dagli oggetti lontani o possibili o astratti.

28. Dice Hobbes che restano i fantasmi nel cerebro, e questi poi cagionano il moto e i pensieri. Ma a questo già si è risposto che tali fantasmi possono bensì cagionare i moti della materia, ma non già i pensieri. Né questi moti possono esser permanenti per lungo tempo, come sarebbe necessario per cagionare la memoria delle cose antiche. Si aggiunge che spesso le ricordanze avvengono all'uomo non da se stesse, ma per propria diligenza; e spesso sta a suo arbitrio, se non vuol ricordarsene; basta ch'egli diverta ad altro il pensiero.

29. Ma come va, replicano i materialisti, che quando il corpo è infermo o sta sopito, l'anima non opera come prima? Si risponde che ciò non avviene, perché il pensiero derivi dal corpo, ma perché vi è questa legge di commercio che Dio ha posta tra l'anima e il corpo, cioè che l'anima imperi e il corpo le serva d'istromento. Ma se l'istromento è inetto o viziato, non è maraviglia che l'anima sia impedita di operare con libertà: siccome la candela non può bene mandar la sua luce, se il cristallo della lanterna è annerito; siccome anche un sonatore, per bravo che sia, non potrà mai sonar bene, se nel cembalo mancano o sono scordate le corde.

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1 Tommaso Hobbes nacque nell'anno 1588 in Malmesburia, e propriamente nel villaggio Viloduniense. Di 14 anni studiò la fisica in Oxonio. Nell'età di anni venti andò girando per la Francia e per l'Italia; ma nel 1629 ritornato in Francia cominciò in Parigi ad investigare i principj della scienza naturale. Di là ritornato poi in Inghilterra nel 1637, stette ivi per molto tempo nascosto per causa de' suoi libri dati fuori, in cui diè mal odore della sua fede. Morì finalmente nel 1679 d'anni 91. Egli scrisse tra gli altri un libro intitolatoLeviathan, le cui scellerate dottrine furon condannate da' teologi inglesi, e poi fu condannato tutto il libro per decreto del re, ed indi fu tenuto quest'empio autore, come antesignano degli atei moderni.

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