mercoledì 14 settembre 2011

Verità della Fede - XXXIII parte

Tornano gli approfondimenti sulle "Verità della Fede" attraverso le attente analisi di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Oggi entriamo nella terza e ultima parte dell'opera composta da altri undici capitoli. In questa parte Sant'Alfonso proverà che la Chiesa Cattolica romana è l'unica vera chiesa, mentre le altre religioni ovviamente non possono essere vere. Cominciamo con il primo capitolo della terza parte, contenente due paragrafi che leggeremo nelle prossime settimane:



Verità della Fede

di Sant'Alfonso Maria de' Liguori

TERZA PARTE

PARTE TERZA - CONTRO I SETTARJ CHE NEGANO LA CHIESA CATTOLICA ESSERE L'UNICA VERA

CAP. I.

I caratteri della chiesa cattolica dimostrano evidentemente essere ella la vera chiesa di Dio.

1. Trattandosi di dogmi superiori alla mente umana in quanto alla credenza e di precetti opposti agli appetiti disordinati dell'uomo in quanto a' costumi, era necessaria una scuola sicura di verità, ove si conservassero incorrotte tutte le verità rivelate da Dio sin dal principio del mondo; sì che da quella potessero intendere gli uomini, senza pericolo di errare, tutte le cose che debbono credere, e tutte le altre che debbono osservare; e così il corpo de' fedeli si fosse guardato sempre dal guasto che gli empj avesser potuto dare alla fede o alla morale cristiana. La chiesa appunto di Gesù Cristo è questa scuola e maestra insieme di verità, visibile a tutto il mondo, che ha conservati e conserverà sino alla fine de' secoli uniti i fedeli a ben camminare nella via della salute. Onde disse il Salvatore che chi non ubbidisce alla chiesa, non dee tenersi più per cristiano, ma per infedele: Si autem ecclesiam non audierit, sit tibi sicut ethnicus et publicanus1. Sicché tutti coloro che saran fuori di quest'arca di salute, tutti saranno perduti in eterno.

2. Ora fra tutte le chiese non si ritrova, né potrà mai ritrovarsi altra chiesa che abbia quei caratteri e contrassegni di esser vera, che ha la chiesa cattolica romana. Il fondatore di questa chiesa già sanno tutti che fu Gesù Cristo, il quale fu il vero Messia mandato da Dio a redimere il mondo, ed a stabilire insieme la nuova legge; legge a differenza delle altre leggi insegnate dalle false religioni tutte ingiuste ed empie, intieramente retta e consentanea alla dignità dell'uomo ragionevole che c'istruisce di dare a Dio l'amore e l'onor dovuto, di amare il prossimo come noi stessi, e di amar noi medesimi con vero, non già con falso amore, con osservare i divini precetti, e così sperare finalmente dalla bontà di Dio dopo questa vita la beatitudine eterna.

3. Con questa legge ebbe già la sua perfezione e il suo compimento la legge antica, la quale era solamente esterna. Dimostrava ella solamente gli obblighi dell'uomo, ma non gliene infondea l'amore. Ma la legge nuova di Gesù Cristo è ancora interna, innestata nei nostri cuori, in modo che ci fa amare quello che c'impone. E così poi noi possiamo adempirla non solo esternamente, ma internamente ancora col cuore, come appunto lo predisse Dio per Geremia: Ecce dies venient, dicit Dominus; et feriam domui Israel et domui Iuda foedus novum... Dabo legem meam in visceribus eorum, et in corde eorum scribam eam... Et non docebit ultra vir proximum suum, et vir fratrem suum dicens: Cognosce Dominum; omnes enim cognoscent me2. Queste ultime parole significano che anticamente vi abbisognava una grande istruzione de' maestri circa le cose della legge, ma nella legge nuova l'anima nello stesso battesimo che riceve, riceve ancora la luce interna della mente e la pia affezione della volontà verso la legge. Ciò però non s'intende che non si richieda ben anche l'esterna predicazione, altrimenti sarebbero inutili i pastori ed i dottori; ma s'intende che col battesimo si riceve la grazia, la quale ci fa amare quel che anticamente solo si facea temere: Illa enim (Lex) sine adiuvante spiritu procul dubio est littera occidens; cum vero adest vivificans spiritus, hoc ipsum intus conscriptum facit diligi, quod foris scriptum lex faciebat timeri3.

4. Gli ebrei nell'osservanza della legge, ordinariamente parlando, altro non isperavano e cercavano che premj terreni, ed altro non temeano che mali temporali, riguardando essi Dio con ispirito di timore, senza amarlo di cuore, e cercandolo solamente quando il Signore gli affliggeva: Cum occideret eos, quaerebant eum1. In quanto poi alla carità verso del prossimo, diceano gli scribi esser lecita la legge del taglione, ed adduceano quel passo del Levitico: Oculum pro oculo, dentem pro dente restituet2. Di più ivi si diceva. Non oderis fratrem tuum in corde tuo etc. Diliges amicum tuum sicut teipsum3. Dal che i farisei ricavavano quell'iniqua conseguenza: Et odio habebis inimicum tuum, come sta scritto in s. Matteo4 falsamente argomentando: il Signore ci comanda di amare i nostri amici, dunque dobbiamo odiare i nostri nemici. E perciò gli ebrei moderni si fanno lecito di odiare i cristiani e tutti gli altri che non sono ebrei. Il rabbino Levi Ben-Gerson insegnò che la loro nazione dee procurare agli stranieri tutto il male che può: come in fatti se ne videro gli effetti nella congiura che fecero a tempo di Traiano5. E la preghiera ordinaria che fanno per tutti gli altri che non sono ebrei, è questa: Omnes sectarii pereant. Dice s. Agostino che questa era la giustizia dei farisei. Ma perciò avvertì Gesù Cristo noi suoi discepoli: Quia nisi abundaverit iustitia vestra plus quam scribarum et pharisaeorum, non intrabitis in regnum coelorum6.

5. All'incontro la legge del nostro Salvatore è tutta carità; ella ci comanda di amare anche i nostri nemici. Siccome Iddio è tutto carità, così vuole che la sua legge sia ripiena di carità: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo... Diliges proximum tuum sicut teipsum. In his duobus mandatis universa lex pendet7. E Gesù Cristo, che venne a manifestarci questa legge d'amore, volle darne l'esempio egli stesso morendo per li suoi nemici, come notò l'apostolo: Vix enim pro iusto quis moritur... Commendat autem caritatem suam Deus in nobis: quoniam cum adhuc peccatores essemus, secundum tempus Christus pro nobis mortuus est8. I farisei dicevano: Oculum pro oculo; ma il Signore disse: Audistis quia dictum est: Oculum pro oculo et dentem pro dente. Ego autem dico vobis, non resistere malo: sed si quis te percusserit in dexteram maxillam tuam, praebe illi et alteram9. Soggiunse: Audistis, quia dictum est: Diliges proximum tuum, et odio habebis inimicum tuum. Ego autem dico vobis: Diligite inimicos vestros etc.10. Prima che fosse nota al mondo questa bella legge di carità, non sapeano gli uomini vincere una passione, se non per mezzo di un'altra passione, né rimettere un interesse, se non per procacciarsi un altro interesse. Ma Gesù Cristo condannò questo vizioso amor proprio, e disse che chi voleva essere suo seguace doveva negare se stesso: Si quis vult post me venire, abneget semetipsum11.

6. Un dotto autore nota saggiamente la differenza che vi è tra la morale di un cristiano e la morale di un filosofo. Il filosofo cerca il suo riposo in se stesso, il cristiano in Dio. Il filosofo fa della religione una parte di sua morale, il cristiano ne fa il tutto. Gli stoici faceano che la scienza fosse il loro ultimo fine. Altri metteano l'ultimo fine nella felicità della presente vita. Ma la legge di Gesù Cristo ha posto in ordine ogni cosa; poiché ella c'insegna che il nostro ultimo fine è di piacere a Dio colle virtù in questa vita, per goderlo poi eternamente nell'altra. Ella insieme ci fa sapere quali sono le vere virtù, così le interne, come le esterne; e tutte queste sono ordinate dalla carità, la quale a tutte dà vita e vigore, altrimenti non sarebbero che ombre e cadaveri di virtù. 

7. Ma, dicono i deisti, la legge evangelica si oppone alla natura: ella toglie la legge del taglione di poter accusare chi ci offende e ci dice: Non resistere malo: sed si quis te percusserit in dexteram maxillam tuam, praebe illi et alteram1; ella vuole che ci spogliamo de' proprj beni: Vade, vende quae habes, et da pauperibus2; ella preferisce il celibato alle nozze, secondo scrive l'apostolo: Noli quaerere uxorem3. Ma si risponde che bisogna distinguere i precetti da' consigli. Quando taluno ci offende, è precetto il non odiarlo e l'amarlo; è consiglio poi il non accusarlo, ed offerirgli l'altra guancia. Del resto l'accusarlo al giudice, affinché esso sia punito come merita, non è vietato, purché ciò facciasi senza animo di vendetta. Benché bisogna qui avvertire, esser molto difficile che l'offeso, accusando l'offensore sia esente da ogni desiderio di vendicarsi. Lo spogliarsi dei suoi beni parimente non è precetto, ma solamente è consiglio per la perfezione. Onde Gesù Cristo disse a quel giovane del vangelo: Si autem vis ad vitam ingredi, serva mandata4. E poi soggiunse: Si vis perfectus esse, vade, vende quae habes, et da pauperibus5. Consiglio ancora è il celibato; onde s. Paolo disse nello stesso luogo: Porro hoc ad utilitatem vestram dico, non ut laqueum vobis iniiciam6. Soggiungono: la legge di Gesù Cristo non solo consiglia, ma comanda di perdere la vita: Qui enim voluerit animam suam salvam facere, perdet eam7. Ci comanda di odiare noi stessi con negarci ogni piacere, e di odiare anche i nostri genitori, la moglie, i figli, i fratelli: Si quis venit ad me, et non odit patrem suum et matrem et uxorem et filios et fratres etc., non potest meus esse discipulus8. Ma s'intende d'odiare in noi quella vita ch'è opposta alla divina legge, e di odiare i nostri parenti in ciò che si oppongono al bene dell'anima. Sicché tutto quello che ci è vietato, ridonda in nostro danno; e tutto quello che ci viene imposto, ridonda in nostro bene.

8. E bisogna persuaderci che nella sola osservanza della divina legge si ritrova anche in questa vita la vera pace. È vero che la cristiana morale non è soave a riguardo degli appetiti del senso, anzi è lor dichiarata nemica; mentre questo è il suo officio di sempre lor contraddire: Qui autem sunt Christi carnem suam crucifixerunt cum vitiis et concupiscentiis9; ma bisogna persuadersi che non può trovarsi pace nel soddisfare i sensi col peccato. Non vi è pace per chi resiste a Dio: Quis restitit ei et pacem habuit10? La vera pace del cuore non si ritrova se non da chi nega a se stesso le proprie soddisfazioni per piacere a Dio. L'amore che pretendono da noi le creature, che non sono altro che loto, vanità e sozzure, convertiamolo a Dio, e troveremo quella pace e quel contento che supera tutti i diletti del senso. Se noi amiamo la libertà, non amiamo quella libertà che ci fa schiavi delle nostre passioni e del demonio, ma quella che ci rende figli di Dio e padroni di noi stessi. Perciò l'apostolo esortava: Vos enim in libertatem vocati estis fratres: tantum ne libertatem in occasionem detis carnis11. E per carne non solo s'intendono le impudicizie, ma ancora le crapole, le ambizioni, le invidie, le risse, che tutte son figlie della concupiscenza nostra nemica.

9. Ma, replicano: non può negarsi che la legge è dura, ed è contraria alla natura. Rispondo: è contraria alla natura corrotta, ed è dura a chi vuole osservar la legge fidato solamente alle sue forze; ma a chi confida in Dio e gli domanda il suo aiuto, la legge non è dura, ma facile e soave. Questo è il privilegio singolare della legge di Gesù Cristo, ch'ella dà la facilità di osservarla a chi prega. E perciò il Signore ci ammonisce: Venite ad me omnes, qui laboratis, et onerati estis, et ego reficiam vos1. E promette di donarci quanto noi gli cerchiamo per quel che spetta al nostro ultimo fine, ch'è la salute eterna: Petite, et dabitur vobis2. Nel che ci fa vedere il Signore l'affetto che ci porta, e 'l desiderio che ha del nostro bene. Quale offerta maggiore può far un uomo ad un suo amico che dirgli: cercami quanto vuoi, e sarai contentato?

10. Sicché solamente nella nostra chiesa ritrovasi la vera carità verso Dio e verso il prossimo, il vero spirito di propagar la fede, la vigilanza de' pastori in conservarla. Qui solo si ritrova la vittoria degl'insulti diabolici, l'uso delle sante preghiere, la sorte d'una beata morte, e qui un saggio delle innocenti dolcezze del paradiso. E benché queste siano una manna nascosta a tutti coloro che sono divisi dalla chiesa cattolica, ben però dovrebbon essi credere alle anime sante che le provano, essere elleno mille volte maggiori de' piaceri terreni, e che essi per loro colpa restano privi di sperimentarle.

11. Il gran carattere poi il quale fa chiaramente conoscere che la nostra chiesa è quel felice ovile piantato da Gesù Cristo, e che la di lei religione è l'unica vera, è il vedere ch'ella sin dal tempo che fu propagata dagli apostoli è stata sempre uniforme e costante nell'insegnare i dogmi che dobbiamo credere, ed i precetti divini che dobbiamo osservare. Dicea s. Ireneo che l'unità della fede è quella prerogativa la quale rende la nostra chiesa un sole che risplende per tutto il mondo. E quindi si conosce che quei paesi ove s'insegnano cose diverse da quel che insegna la chiesa cattolica, sono fuori della vera chiesa. Questa è stata la massima cura degli apostoli e de' pastori, il conservare sempre illesa l'antica dottrina. Ciò appunto incaricò Gesù Cristo agli apostoli: Docentes eos servare omnia quaecunque mandavi vobis3. E ciò incaricarono sempre gli apostoli ai loro discepoli. S. Pietro: Verbum autem Domini manet in aeternum: hoc est autem verbum quod evangelizatum est in vos4. S. Giovanni: Vos quod audistis ab initio, in vobis permaneat5. S. Giuda: Deprecans (vos) supercertari semel traditae sanctis fidei6. S. Paolo: Solliciti servare unitatem spiritus... Donec occurramus omnes in unitatem fidei7. Ed in altro luogo: Non sint in vobis schismata. sitis autem perfecti in eodem sensu et in eadem sententia8. E così, dice s. Agostino, han praticato i buoni pastori della chiesa: Quod invenerunt in ecclesia, tenuerunt; quod a patribus acceperunt, filiis tradiderunt9.

12. Le altre sette all'incontro tutte col tempo han variato ne' loro dogmi: i giudei furon costanti a seguir i dogmi della chiesa antica, che fu vera chiesa sino alla venuta del Messia; ma dopo la venuta del Messia, non avendo essi voluto abbracciare la legge evangelica, accecati dalla loro ostinazione hanno deturpata anche la loro antica legge, ed al presente non sieguono (come appresso vedremo) che una religione mista di sciocchezze, errori e bestemmie. I maomettani abbracciarono a principio gl'insegnamenti del lor capo Maometto; ma dopo la di lui morte gli hanno talmente variati, che delle loro sette se ne contano sino a sessanta. Dei luterani poi si sa che tra lo spazio di cinquant'anni si divisero in tre sette di luterani, semiluterani e antiluterani. Indi i luterani si suddivisero in undici altre sette, i semiluterani in altre undici, e gli antiluterani in cinquantasei come rapporta il Lindano10. La scuola similmente de' calvinisti presto si divise in più sette, e di queste se ne numerano più di cento. Si osservi Natale Alessandro11. In quante sette specialmente in Inghilterra non son divisi i calvinisti? Vi sono i puritani, che seguitano la dottrina pura di Calvino: i piscatoriani, che furono dichiarati eretici da' calvinisti di Francia: gli anglocalviniani, che consacrano i vescovi, ed ordinano i sacerdoti, cose rigettate dagli altri calvinisti: gl'indipendenti, che non riconoscono superiore né ecclesiastico, né politico: gli antiscritturiani, che rifiutano tutte le scritture: i quakeri, che vantano continue estasi e rivelazioni: i ranteri, che stimano lecita ogni cosa, a cui si sente incitata la natura corrotta. L'Olanda poi si trovò un tempo divisa in due fazioni di arminiani e di gomaristi; benché appresso in un certo loro conciliabolo dell'anno 1618. fu condannato Arminio capo di una setta, come scismatico; e perché Grozio e il cancelliere Barnebeldo non vollero ubbidire, Grozio fu carcerato e Barnebeldo decapitato. Ecco la bella costanza e uniformità di fede che hanno queste società de' novatori! Questo fa lo spirito della superbia; fa che siccome gli eresiarchi si distaccano dall'ubbidienza della chiesa, così i loro seguaci si distacchino poi dalla soggezione dei loro stessi maestri, e formino nuovi sistemi e nuove sette.

13. Ma qual maraviglia è che i discepoli di Lutero e di Calvino siano così discrepanti tra loro ne' dogmi della fede, quando essi medesimi maestri sono così contrarj a loro stessi? Leggasi la storia delle Variazioni delle chiese protestanti scritta da mons. Bossuet vescovo di Meaux, ed osservinsi le diversità di dottrine e le contraddizioni che dissero e scrissero contro loro medesimi Lutero e Calvino. Le sole contraddizioni che Lutero pronunciò e scrisse da tempo in tempo circa gli articoli della fede (Lutero, dico, confessato da tutti i protestanti come la prima fonte della fede pura, e chiamato apostolo da Calvino, che non dubitò di scrivere: Res ipsa clamat non Lutherum initio locutum, sed Deum per os eius) bastano a far vedere la falsità della sua credenza. Egli mentre visse, non fece altro che contraddirsi, sempre contrario a se medesimo, oppugnando la sua stessa dottrina. Prima disse che le buone opere non erano necessarie alla salute: appresso le confessò necessarie. Mille contraddizioni disse poi intorno alla giustificazione, al valor della fede ed al numero de' sacramenti. Nel solo articolo dell'eucaristia si notano da trenta sue contraddizioni. Onde il cattolico principe Giorgio di Sassonia ai tempi di Lutero solea saggiamente dire che i luterani non sapeano oggi quel che avessero a credere il domani. Calvino poi circa l'eucaristia quante sentenze mutò! Possono vedersi presso il mentovato monsignor Bossuet nell'opera citata. Ma io dissi male che tante contraddizioni bastavano a dimostrare la falsa credenza di questi empj maestri di fede, quandoché bastava una sola contraddizione a far conoscere che essi non eran già investiti dallo spirito di Dio; poiché qui semel mentitur ex Deo non est, come confessava lo stesso Lutero. Lo Spirito santo è uno, ed è immutabile; ond'è che negare seipsum non potest, secondo scrive l'apostolo1. Troppo falsamente dunque vantavasi Lutero d'aver lo spirito di Gesù Cristo nel propagare la dottrina che insegnava, dicendo investito dalla sua superbia: Certissimus sum, quod doctrina mea, non sit mea, sed Christi; meglio avrebbe detto:sed diaboli.

14. All'incontro ben si prova la verità della chiesa cattolica dal vedere la sua costanza ed uniformità di dottrina ne' dogmi della fede tenuti sin dal principio, in cui fu fondata da Gesù Cristo. Ella è stata la stessa in tutti i tempi; sicché quelle verità che oggi noi crediamo, furono già credute ne' primi secoli.

15. Ma, dicono, la chiesa romana da tempo in tempo ha definite di fede più cose che prima non erano di fede; dunque ella non è stata sempre uniforme ne' dogmi. Si risponde che l'aver la chiesa definiti successivamente nel decorso de' tempi più dogmi prima non definiti non fa ch'ella non sia stata sempre uniforme negli articoli di fede, perché ciò non fa che la chiesa abbia mutato i dogmi, ma dimostra solamente che ella sul fondamento della scrittura e della tradizione abbia da tempo in tempo dichiarati più articoli, che prima non erano stati dichiarati, ma che per altro ben erano di fede prima di essere stati dalla chiesa definiti.

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1 Matth. 18. 17.

2 Ier. 31. 31. 33. et 34.

3 S. Aug. de spir. et lit. c. 19.

1 Ps. 77. 34.

2 Lev. 24. 20.

3 Lev. 19. 17. et 18.

4 C. 5. v. 45.

5 Euseb. l. 4. Hist. c. 2.

6 Matth. 5. 20.

7 Matth. 22. 37. 39 et 40.

8 Rom. 5. 7.

9 Matth. 5. 38. et 39.

10 Matth. 5. 43. et 44.

11 Matth. 16. 24.

1 Matth. 5. 39.

2 Matth. 19. 21.

3 1. Cor. 7. 27.

4 Matth. 19. 17.

5 Ibid. vers. 21.

6 1. Cor. 7. 35.

7 Matth. 16. 25.

8 Luc. 14. 26.

9 Gal. 5. 24.

10 Iob. 9. 4.

11 Gal. 5. 13.

1 Matth. 11. 28.

2 Matth. 7. 7.

3 Matth. 28. 20.

4 1. Petr. 1. 25.

5 1. Ioan. 2. 24.

6 Iud. ep. v. 3.

7 Eph. 4. 3. et 13.

8 1. Cor. 1. 10.

9 L. 2. contra Iulian. c. 10.

10 Ep. Rertem. in Luth.

11 Hist. sec. 15. et 16. c. 2. a. 17. §. 3.

1 2. Tim. 2. 13. 

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