mercoledì 13 aprile 2011

Verità della Fede - XII parte

Tornano come ogni mercoledì, gli approfondimenti sulle "Verità della Fede" attraverso le attente analisi di Sant'Alfonso Maria de' Liguori; oggi entriamo nella Seconda Parte dell'opera come preannunciato la scorsa settimana. Nella prima parte Sant'Alfonso ha confutato le affermazioni dei materialisti, inoltre ha dimostrato l'esistenza di Dio. Nella seconda invece confuterà quelle dei deisti i quali negano la religione rivelata e dimostrerà come quella di Cristo è l'unica e vera religione.


Diamo ora la parola al Vescovo Dottore della Chiesa e Fondatore dei Redentoristi per meglio conoscere le "Verità della Fede":





Verità della Fede

di Sant'Alfonso Maria de' Liguori

PARTE SECONDA - CONTRO I DEISTI CHE NEGANO LA RELIGIONE RIVELATA

CAP. I. Della necessità della rivelazione circa le cose della religione.

1. Posto dunque che vi è un Dio creatore degli uomini, vi ha da esser religione. Poiché questo Dio, avendo collocate nel mondo creature ragionevoli, giustamente dee essere da queste creature adorato, ubbidito ed amato per mezzo della religione. È tenuto pertanto l'uomo primieramente a cercare di conoscere per quanto può le perfezioni e gli attributi del suo fattore, per onorarlo e stimarlo come dee. Indi dee procurare di conoscer se stesso, il suo essere, il suo fine ed i suoi precisi doveri; e perciò è obbligato a ricercare qual sia fra tutte la vera religione, acciocché da essa impari quello che dee credere, e quello che dee osservare. Or questa religione noi intendiamo qui di provare che sia la sola religion cristiana da Gesù Cristo a noi rivelata.

2. I deisti non negano esservi Iddio, né l'obbligo di onorarlo colla religione, ma negano esservi alcuna religion rivelata. Molte sono le sette di questi deisti, altri si chiamano scetticisti o sieno pirronisti, i quali dubitano d'ogni cosa: altri ipocritisti che osservano qualche religione solo esternamente e per mera simulazione: altripolitichisti, ovvero obbesianisti, i quali dicono che Dio si contenta d'esser venerato secondo la religione del principe, convenendo ciò alla conservazione della pace. Sicché secondo il sistema di costoro, chi in Italia dee tenere Gesù Cristo per Dio, in Costantinopoli dee crederlo per puro uomo. Bella religione!

3. Altri poi si chiamano naturalisti, che facilmente si confondono poi cogli indifferentisti, e la setta di costoro è più abbondante delle altre. Dicono questi che basta osservar la sola religion naturale, impressa dalla stessa natura, la quale insegna a credere un Dio punitore de' vizj e premiatore delle virtù, di più a riverire la sua divina maestà, e a non fare al prossimo quel che non vogliamo esser fatto a noi stessi. Del resto spacciano che l'uomo ben può salvarsi in ogni religione che siegue, sia la cristiana, sia l'ebraica, sia la maomettana, basta che osservi solamente i mentovati due precetti. L'autor del libro de' Costumi naturalista non ha rossore di scrivere: Io perdono ad un turco l'esser musulmano; l'esser musulmano viene a dire esser di quella religione che sembra fatta più per le bestie, che per gli uomini. Ed in questo modo un cristiano può restar cristiano, e adorare Gesù Cristo per Dio; ma può farsi anche ebreo, ed allora può tenerlo per malfattore. Ma se la religione cristiana è vera, come Dio può contentarsi che Gesù Cristo sia tenuto per un ribaldo? E se fosse vera l'ebraica, come potrebbe permettere che un uomo fosse adorato per Dio?

4. Dicono tali deisti, e tra costoro l'autore del libro les Moeurs, e l'inglese Tindall (che nell'anno 1730 scrisse quell'altro pestifero suo libro intitolato: Christianismus tam antiquus etc.), ed altri filosofi alla moda, contro i quali hanno scritto Clarke, Forstero, Dicton, Uezio, Utvillio ed altri, dicono che la rivelazione è superflua ed inutile. Ma noi diciamo ch'ella non solamente è utile, ma è anche necessaria per dare a Dio il culto che si merita, così col credere quelle cose che sono proprie della sua infinita bontà, come coll'osservare le sue divine leggi. E ciò apparisce dal vedere l'ignoranza che i popoli antichi privi della rivelazione hanno avuta di Dio e de' suoi precetti. Circa la divinità sappiamo che altri hanno adorati per dei la fortuna, il timore, la febbre: altri i pianeti, le bestie, le pietre, e sino le piante degli orti. Nel Mogol si adoravano le vacche, nella Tessaglia le cicogne, nell'Assiria le colombe, nel Ceilan si adorava un dente di scimia. I siri adoravano i pesci, gl'indiani gli elefanti, i frigi i sorci, i lituani gli alberi. Inoltre furono adorati per dei un Giove ed un Marte adulteri, una Venere impudica, un Apollo incestuoso, un Vulcano vendicativo; di più un Nerone, un Caligola, un Domiziano, uomini che in vita erano abborriti quai mostri d'impudicizia e di crudeltà: il senato romano giunse a consacrare per dea Flora, ch'era stata una pubblica meretrice, perché morendo ella gli avea lasciata la sua eredità acquistata col turpe mestiere. Quid absurdis, scrisse Cicerone, quam homines morte deletos reponere in deos, quorum omnis cultus esset futurus in luctu? E Luciano introduce in cielo un certo Momo, che, vedendosi circondato da tal sorta di dei, esclama: Se non discacciate queste bestie di qua, me ne anderò io. Ma questa fu l'invenzione del demonio, far tenere per dei gli uomini più viziosi, affinché i loro vizj fossero poi senza ripugnanza e rimorso, ma più presto con onore, imitati da' loro adoratori.Ipsa vitia, scrisse Lattanzio, religiosa sunt; non modo non vitantur, sed etiam coluntur1.

5. Circa poi le leggi e le virtù, molti popoli han praticate le scelleraggini più enormi, e così credean di piacere a' loro dei. I traci onoravano i loro dei con divorare gli uomini vivi. I cartaginesi chiudeano i fanciulli nelle statue infocate di Saturno. I messicani una volta giunsero a scannare più migliaia di uomini sugli altari delle loro deità. Gli spartani permetteano come leciti i furti. Altri popoli, attribuendo a' loro dei adulterj ed omicidj, diceano essere questi non delitti, ma virtù. Ed anche ne' nostri ultimi tempi quante barbarie si son ritrovate in tanti regni! I canadesi vanno a caccia di carne umana, come si va a caccia de' cervi e daini. I cinesi buttano i figli ne' fossi, come si buttano i parti delle cagne. Presso gli abitanti della Guinea le mogli si bruciano vive co' cadaveri de' mariti; e morendo i loro principi, si uccidono tutti i lor familiari.

6. Parlando poi de' filosofi antichi, i moderni materialisti vogliono far vedere che sieno stati tutti atei. I naturalisti all'incontro li fan vedere tutti uniformi in credere l'esistenza di Dio e la vera legge della natura, e giungono a farli comparire quasi intesi anche de' misterj più occulti di nostra fede. La verità si è quella che scrive s. Paolo, che tali filosofi, cum cognovissent Deum, non sicut Deum glorificaverunt, aut gratias egerunt, sed evanuerunt in cogitationibus suis2. Onde insegnaron molte falsità intorno a Dio ed a' buoni costumi. Anassimandro dicea che i mondi erano infiniti, gli uni nati dalla corruzione degli altri, e questi erano poi i veri dei. Anassimene dicea che gli dei erano nati dall'aria. Zenone che Dio era un animale immortale composto di aere e fuoco. Altri, benché non credessero alla moltiplicità de' dei diceano però doversi mantenere il pubblico loro culto nel popolo. E tra questi Socrate, stando prossimo alla morte, pregò i suoi familiari che consecrassero ad Esculapio un gallo, ch'esso gli avea promesso. Cicerone volea che si adorassero gli dei già ricevuti: Platone similmente, come scrive s. Agostino3, volle che si sacrificasse a molti dei; ed in quanto a' costumi insegnò essere utile alla repubblica l'infame comunicazione delle mogli. Aristotile ed anche Cicerone approvaron come cosa virtuosa il vendicarsi. E mille altri errori che tralasciamo qui di scrivere, insegnarono questi celebri sapienti del mondo.

7. Sicché l'uomo posto in mezzo a tante tenebre ed appetiti disordinati che l'inclinano al male, avea bisogno d'una luce superiore alla naturale, che l'illuminasse a conoscere quel che dee credere, la legge che dee osservare, ed anche i mezzi che dee prendere per conseguire la salute; altrimenti, dice un erudito autore (il p. Vestrini nelle sue Lett. Teol.sarebbe una specie di tirannia, se volesse Dio esiger l'esecuzione de' suoi voleri, senza averli prima sufficientemente dichiarati. Questa necessità della rivelazione la conobbero gli stessi filosofi gentili, Socrate, Platone e Tullio, i quali, scorgendo la grande oscurità che regnava nelle menti umane, dissero doversi aspettare qualche personaggio mandato da Dio, che c'illuminasse ed istruisse sopra le verità divine che dobbiam credere, e le virtù che dobbiamo esercitare. Ecco come specialmente scrisse Platone1: disse che tutti noi saremmo sempre rimasti in tenebre e confusione, nisi quis firmiori quodam vehiculo, aut verbo quodam divino transvehi possit. Ed altrove2 scrisse: Pietatem docere neminem posse, nisi Deus quasi dux vel magister praeiverit.

8. E la ragion naturale dell'uomo non basta a guidarlo ed a conoscere tutte queste cose? No, non basta. I naturalisti esaltano più del dovere la ragione umana, e perciò predicano la religion naturale; ed indi concludono non esser necessaria la rivelazione divina. Ma risponde s. Tommaso3 che per aver noi la cognizione delle cose divine, necessarium fuit hominem instrui revelatione divina, quia veritas de Deo per rationem investigata, a paucis et post longum tempus, et cum admixtione multorum errorum homini perveniret. Non basta dunque la ragione umana, perché senza la rivelazione pochi avrebbero cognizione della verità appartenente alla divina natura, e ciò dopo molto tempo e studio; e con tutto ciò questi pochi, anche quel poco che potessero giungere a sapere, lo saprebbero mescolato con mille errori. Dice Cicerone che gli stessi nostri vizj e prave opinioni estinguono in noi quei piccoli lumi che la natura ci dà: Nunc parvulos natura nobis dedit igniculos, quos malis moribus, opinionibusque depravatis restinguimus, ut nusquam naturae lumen appareat4. Conferma ciò lo stesso Bayle, costretto dall'evidenza, e dice: La ragione fa conoscere all'uomo le sue tenebre, la sua impotenza e la necessità d'una rivelazione.

9. Dicono gli increduli; ma perché Iddio ha posto l'uomo tra tante tenebre e tante passioni che di continuo l'infestano? Egli l'ha creato a sua immagine, egli l'ha amato con modo singolare tra le creature; e come poi l'ha formato così ottenebrato nelle sue cognizioni, e, quel ch'è peggio, così inclinato al male, onde lagnavasi l'apostolo di sentire nelle sue membra una legge opposta alla legge della sua mente, cioè a quella che giudicava doversi osservare? Video autem aliam legem in membris meis, repugnantem legi mentis meae, et captivantem me in lege peccati, quae est in membris meis5. Se Dio avesse creato l'uomo così sconcertato e con tante miserie, l'avrebbe più presto odiato che amato, e in certo modo avrebbe amate più le bestie che l'uomo; mentre quelle da una parte trovano tutto il diletto di cui son capaci, ne' piaceri sensuali, e dall'altra non sono molestate dalle passioni d'animo, né da' timori del futuro, da' quali continuamente vien tormentato l'uomo. Donde avviene dunque tanto disordine nell'uomo? Se domandiamo agli scrittori gentili, essi non sanno assegnarci alcuna ragione. Ma ecco la religion cristiana a noi rivelata, che tutto ci scopre: ella ci fa sapere che Dio ha creato l'uomo retto, col senso sottoposto alla ragione e colla ragione sottoposta al divino volere: gli ha dato a conoscere il fine per cui l'ha creato, di renderlo beato nella vita eterna, se nella temporale gli sarà stato fedele in servirlo. Ma il primo uomo, disubbidendo a Dio, restò con tutti i suoi discendenti privo della divina grazia, ottenebrato nella mente e colla volontà proclive al male. Hoc inveni, dice l'Ecclesiaste6quod fecerit Deus hominem rectum, et ipse se infinitis miscuerit quaestionibus. Dice s. Agostino che se Iddio, senza la causa del peccato, avesse creato l'uomo così miserabile, come al presente si trova, sarebbe stato o ingiusto o impotente; indi soggiunge: Sed quia nec iniustus, nec impotens est Deus, restat quod grave iugum super filios Adam non fuisset, nisi delicti originalis meritum praecessisset.Ma il Signore avendo pietà dell'uomo, per dar rimedio a tanta ruina, e per dimostrar al mondo le ricchezze della sua bontà, mandò in terra il suo unigenito Figlio a redimerlo colla sua morte, ed insieme ad istruirlo colla sua sapienza.

10. Ma dice Rousseau che fra tutte le religioni una dee esser la vera. Per trovar la vera, bisogna sentir le ragioni di tutte. E perciò, soggiunge, quante lingue bisogna sapere, e quante biblioteche leggere! E non basta il solo studiare i libri di tutte le religioni, ma bisogna girare per tutte le provincie dove elle regnano. E quindi conclude: quando giungerà l'uomo, se non in fine di sua vita, a sapere qual sia la vera? Per tanto egli dice di contentarsi della sua religion naturale. Ma saggiamente il p. Valsecchi gli risponde così: signor Rousseau, voi dite che una religione ha da esser la vera, e questa dee seguirsi sotto pena di dannazione. Voi vi appigliate alla sola religion naturale. All'incontro dite che per seguir la vera bisogna saper tutte le lingue, legger molte biblioteche, e girare per tutti gli angoli della terra. Voi non avete adempite tutte queste diligenze; dunque non possiamo appigliarci alla vostra. All'incontro ci è moralmente impossibile eseguire quanto voi dite esser uopo per trovar la vera religione. Che abbiamo da fare? Non credere forse più a niente, ed imitare il signor Bayle, che tutto mette in dubbio e niente crede? Ma rispondiamo col medesimo p. Valsecchi al signor Rousseau, che per accertarsi delle verità di diritto o di fatto, non sono necessarie tante lingue, né tante biblioteche, né tanti pellegrinaggi, né lo studio di tutta la vita; basta una dimostrazione della verità, a cui non apparisca opposizione che abbia qualche sussistenza. Questa dimostrazione delle verità rivelate che crediamo, noi già l'abbiamo, onde non ci bisogna cercar altro per assicurarci della nostra religione. E siccome per credere che vi sia Dio, non è necessario leggere tutti i libri degli atei, così per credere le cose rivelate, non è necessario far tante fatiche. Le prove della rivelazione sono troppo certe e chiare, né han bisogno di più ricerche. Poiché per gli esami fatti per tanti secoli sopra tutte le religioni del mondo, tutto è stato discusso, e da tutto vien sempre più confermata la nostra religione; né mai le si è opposto argomento, a cui non siasi adequatamente risposto. Le stesse prove poi che ci dimostrano la verità della religione ci fan sapere che fuori di quella non v'è salute. Ma perché, replica il Ginevrino, Iddio condannerà un infedele che ha ignorato invincibilmente il vangelo? Si risponde che l'infedele si dannerà, non perché ha ignorato il vangelo, ma per causa delle altre sue colpe. Ma egli di nuovo replica: Se un cristiano fa bene a seguir la religione di suo padre, un turco farà male in seguire la religione del suo? Il cristiano fa bene, perché siegue una religione conforme a' dettami della natura e a' dogmi rivelati da Gesù Cristo; il turco fa male, perché siegue una religione contraria alle leggi naturali ed alle verità rivelate, le quali perciò appunto sono dal turco ignorate, perché non è vivuto secondo i lumi della natura. E quindi concludiamo che giustamente la religion cristiana condanna la tolleranza delle altre religioni, cui ingiustamente ammettono i deisti. La verità è una sola; onde una sola religione può piacere a Dio, e non altra che insegna dogmi a quella opposti.

11. Che poi la religion cristiana sia la vera, l'accertano tutte le prove che in questa seconda parte addurremo, cioè le scritture sacre a noi pervenute dagli stessi nemici di nostra fede, i miracoli di Gesù Cristo e de' suoi discepoli, le profezie avverate, la santità della dottrina, la conversione delle genti, non ostanti i potenti ostacoli della corruzione universale, la debolezza dei mezzi e le persecuzioni de' tiranni. L'autore di tutto ciò non poteva esser altri che Dio. Trovino i deisti altra causa, dalla quale tutti questi eventi così connessi e prodigiosi abbian potuto nascere. Ma se non la trovano, debbon confessare che la religion cristiana è stata da Dio rivelata. Dunque, dicono, non possiamo più noi far uso della nostra ragione? No, rispetto ad ogni punto che si oppone alla nostra fede; perché dove ha parlato Iddio, la stessa ragione insegna che dobbiamo credere e cattivar tutto il nostro intelletto alla sua divina parola, se non comprendiamo le cose che ha dette.

12. Ma ripiglia Pietro Bayle, seguendo il suo barbaro stile or di difendere or d'impugnare le stesse cose che scrive: dopo aver egli detto che la stessa ragione fa conoscere all'uomo la necessità della rivelazione, dice altrove che la ragione umana è dono di Dio, non meno che la fede; come dunque, soggiunge, possiamo esser tenuti a credere misterj di fede, che son contrarj alla ragione? Ma ben gli risponde san Tommaso1 che così le verità naturali, come le verità rivelate sono certissime, ma è falso che le une sieno contrarie alle altre; poiché altro è esservi cose sopra la ragione, altro contro la ragione. Acciocché una verità sia superiore alla ragione umana, basta che l'uomo colla sola ragione non giunga a scoprirne il modo com'ella sia quella verità; ma per esser una cosa contraria alla ragione, vi bisogna tra loro una evidente ripugnanza. Posto ciò, se Bayle intende che colla ragione non arriviamo noi a comprendere i misterj della fede, dice bene; ma ciò non fa che la credenza de' misterj sia contraria alla ragione. Egli, per provare il suo intento di mettere in dubbio i misterj, dovrebbe fondare che la loro credenza non può sussistere, e ripugna alla ragion naturale; altrimenti sempre noi risponderemo che, sebbene son vere le cose che la ragion naturale ci dimostra, nondimeno ben vi possono essere molte verità sovrannaturali ed anche naturali, che la nostra ragione non arriva a comprendere. E così diciamo che la nostra ragione non avrebbe potuto mai comprendere, come l'uomo fosse tanto ottenebrato nelle sue cognizioni, e tanto disordinato nelle sue concupiscenze, se la rivelazione non ce ne avesse scoperta la causa, qual'è la malizia del peccato.

13. Ed oh quante cose e quanti mezzi della nostra salute noi non avremmo mai potuto intendere, se non ce ne avesse fatti consapevoli la rivelazione! Senza rivelazione come noi avremmo potuto sapere che Dio perdona al peccatore che si pente de' suoi falli? Dicono che anche i gentili col solo lume della natura aveano rimorso e pentimento de' misfatti commessi. Bene; ma a che giovava mai loro questo pentimento? Quello altro non era che un rimorso di stizza contro se stessi per la pena che sentivano di aver fatto male, e di non potervi più rimediare, secondo quel che scrisse Ovidio: Poenitet, et facto torqueor ipse meo2; e secondo quel che narra Cicerone di Alessandro Magno3, il quale dopo aver ucciso Clito suo familiare, tanta pena ne ebbe, che stette per ammazzarsi: Vix a se manus abstinuit. Non era dunque il pentimento degli antichi, com'è quello de' penitenti cristiani, placido e pieno di confidenza del perdono divino, ma rabbioso e disordinato, che meritava non perdono, ma nuovo castigo.

14. Ma inoltre come poteano gli antichi col lume naturale aver sicurezza della riconciliazione del peccatore con Dio per mezzo del pentimento? Dice il Tindall naturalista che ogni padre perdona a' figli pentiti, anzi ogni uomo di onore perdona anche a' suoi nemici che umiliati gli cercano perdono. Ma tutto ciò altro non prova che una speranza del perdono, non già la certezza; e fuori della rivelazione tanto meno prova che Iddio certamente perdona a chi si pente. Iddio è padre, ma ancora è giudice: è pietoso, ma ancora è giusto vendicatore de' mali. Solamente dunque la rivelazione ci assicura che il Signore, secondo ha promesso, perdona per li meriti di Gesù Cristo ai peccatori pentiti.

15. Inoltre l'uomo senza rivelazione non può sapere il modo di resistere alle sue passioni disordinate. Né vale quel che dice il Voltaire: L'uomo è provveduto di passioni per agire, e di ragione per governare le sue azioni. Non vale dico; perché la ragione non gli dà l'armi adatte per vincere i suoi malvagi appetiti; onde gli è necessario che dimandi e speri la vittoria per altro mezzo; e questo mezzo, come ci scopre la rivelazione, non è, né può esser altro che la grazia del Redentore. Di più dopo la rovina del peccato non più bastano all'uomo gli aiuti ordinari per conseguir l'eterna salute; gli son necessari altri straordinarj, come sono i santi sacramenti, il sacrificio della messa ed il mezzo della preghiera, in vigor dei quali mezzi vengono a noi comunicate le grazie divine a riguardo dei meriti di Gesù Cristo. Or qual cognizione avremmo noi potuto avere di tali verità così importanti alla nostra eterna salute, se la rivelazione non ci avesse illuminati a conoscerle? Elle ci sono state manifestate nelle divine scritture prima del vecchio, e più compitamente poi del nuovo testamento; poiché agli ebrei fu fatta la prima rivelazione, ma questa fu poi molto più perfezionata colla venuta del Messia, il quale venne anche a tal fine per illuminare tutto il mondo nella scienza delle verità eterne. Anderemo per tanto dimostrando ne' seguenti capi contro i deisti la verità prima de' libri sacri del testamento vecchio e poi del nuovo.

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1 L. 1. c. 13.

2 Rom. 1. 21.

3 De civit. l. 8. c. 12.

1 in Phaedone.

2 In Epinomide.

3 1. p. q. 1. a. 1.

4 Quaest. Tusc. l. 3. c. 1.

5 Rom. 7. 23.

6 7. 30.

1 L. 1. contra Gentes c. 7.

2 1. de Pont.

3 Quaest. Tusc. l. 4. c. 37. 

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