martedì 12 aprile 2011

La Città di Dio - XIII parte

Riprendiamo la lettura dell'opera di Sant'Agostino nota come "La città di Dio". L'analisi critica del Santo d'Ippona si sofferma, oggi, sul rapporto tra gli dei e la moralità. Egli si chiede, infatti, come mai tali dei non si siano mai curati di insegnare la moralità ai loro adoratori e come mai non abbiano presentato né leggi, né sanzioni per colpire i trasgressori e né premi per gli onesti. Difatti, la società del tempo era perversa nella mente e nello spirito e adorava gli dei in maniera impudica e immorale; dunque, perchè nessuno di questi dei è intervenuto? Da queste cose, si comprende l'inesistenza di questi spiriti adorati per secoli in quanto consentivano semplicemente la libera espressione dell'immoralità e dell'impudicizia (anche oggi viene rivendicata pericolosamente questa libertà attraverso la negazione di Dio):

4. E prima di tutto per quale ragione i loro dèi non vollero preoccuparsi affinché gli uomini non avessero pessimi costumi? Il vero Dio ha giustamente trascurato individui da cui non era adorato. Ma per quale ragione questi dèi, dato che uomini molto ingrati lamentano che n'è stata loro proibita l'adorazione, non hanno aiutato con leggi i propri adoratori a vivere moralmente? Era giusto che come gli uomini si sono preoccupati dei loro sacrifici, così essi si preoccupassero delle loro azioni. Si risponde che si è cattivi per volontà propria. E chi lo nega? Tuttavia era di dèi provvidi non tenere nascosti ai propri adoratori comandamenti di moralità, ma presentarli in una chiara promulgazione, rimproverare personalmente i trasgressori mediante profeti, minacciare palesemente pene ai malvagi, promettere ricompense agli onesti. Quando mai si è fatta udire con parole espresse e autorevoli una tale promulgazione nei loro templi? Andavamo anche noi da giovanetti qualche volta a osservare le profanazioni di osceni spettacoli, guardavamo gli invasati, ascoltavamo i coristi, ci deliziavamo delle rappresentazioni veramente indecenti che si facevano in onore di dèi e dee, della vergine Celeste e di Cibele madre di tutti loro 4. Davanti al suo trono, nel giorno solenne del suo bagno, erano cantati pubblicamente da mimi pervertiti canzoni tali, quali non era conveniente che udisse, non dico la madre degli dèi, ma neanche la madre di un qualche senatore o di qualsiasi persona onesta, anzi neanche la madre degli stessi mimi. L'umano pudore ha qualche cosa nei confronti dei genitori che neanche la perversità riesce a togliere. Gli stessi mimi si sarebbero vergognati di eseguire a scopo di prova generale nelle loro case davanti alle loro madri lo sconcio di quelle oscene parole e azioni drammatiche. Eppure lo compivano in pubblico davanti alla madre degli dèi, mentre vedeva e udiva una gran calca dell'uno e dell'altro sesso. E se la gente attirata dalla curiosità poté assistere perché confusa nella folla, dovette andarsene confusa almeno per l'offesa alla decenza. Che cosa sono le profanazioni del sacro se quelli sono riti sacri? E che cos'è l'insozzarsi se quello è un bagno? E si chiamavano pietanze, quasi fosse dato un pranzo, durante il quale come a un proprio banchetto mangiassero le immonde divinità. Non si capisce dunque di che razza siano gli spiriti che si dilettano di tali oscenità? A meno che si ignori l'esistenza di spiriti immondi i quali ingannano col titolo di dèi o si conduca una vita in cui si desiderano propizi o si temono irati loro anziché il vero Dio.

5. In questo argomento non vorrei avere come giudici costoro, che desiderano esser dilettati anziché lottare contro i vizi di una dannosa usanza, ma lo stesso Nasica Scipione che fu eletto dal senato alla più alta carica e da cui personalmente fu accolta e portata in Roma la statua di quella divinità 5. Ci direbbe se avrebbe voluto che sua madre fosse tanto altamente benemerita dello Stato da esserle tributati onori divini. È noto che i Greci, i Romani e altri popoli li hanno decretati ad alcuni mortali. Avevano tenuto in gran conto i benefici ricevuti e creduto che fossero divenuti immortali e quindi accolti nel numero degli dèi 6. Nasica certamente, se fosse possibile, desidererebbe un destino così alto per sua madre. Chiediamogli poi se desidererebbe che fra gli onori divini per lei si eseguissero quelle rappresentazioni oscene. Griderebbe di preferire che sua madre rimanga morta nella tomba senza conoscenza piuttosto che vivere come dea per ascoltare favorevolmente quelle cose. Un senatore del popolo romano, provvisto di un carattere tale per cui impedì che in una città di uomini forti si costruisse un teatro, non vorrebbe che la madre fosse onorata così da essere resa propizia come dea con riti da cui una matrona sarebbe oltraggiata. E non avrebbe mai supposto che il pudore di una donna onorata fosse dagli attributi divini volto al significato contrario, sicché i suoi adoratori la rendessero propizia con onori corrispondenti ad oltraggi lanciati contro qualcuno. Se, mentre viveva fra gli uomini, non si turava gli orecchi per non udirli, ne sarebbero arrossiti per lei congiunti, marito e figli. Pertanto una madre degli dèi che chiunque, anche il peggiore degli uomini, si vergognerebbe di avere per madre, per impadronirsi delle coscienze dei Romani si servì di un ottimo individuo non per renderlo buono col consiglio e l'aiuto ma per raggirarlo con l'inganno. Fu dunque simile a quella donna di cui è stato scritto: La donna dà la caccia alle anime di valore degli uomini 7. Ne conseguì che quell'uomo di grande temperamento, come sublimato dall'attestazione della dea e reputandosi veramente ottimo non cercò la vera pietà religiosa, senza di cui anche un nobile ingegno si svuota a causa della superbia e si accascia. In che modo dunque se non perfidamente la dea chiese un uomo ottimo? Perché nei propri misteri chiede cose che gli individui ottimi aborriscono di usare nei loro banchetti.

6. Quindi le divinità non si preoccuparono della vita e dei costumi delle città e popoli da cui erano adorate. Permisero anzi non dando alcuna proibizione che divenissero veramente perversi riempiendosi di mali orrendi e detestabili non nel campo e nelle vigne, non nella casa e nella proprietà, non infine nel corpo che è soggetto alla mente, ma nella stessa mente, nello stesso spirito che domina il corpo. Che se lo proibivano si dimostri, si provi. Non ignoro quali bisbigli soffiati agli orecchi di pochissimi e come tramandati da un'arcana religione, con cui s'insegna la moralità, vadano vantando nei nostri confronti 8. Ma siano mostrati o citati i luoghi destinati a queste riunioni. Non si tratti dei luoghi in cui sono eseguiti degli spettacoli con l'oscena rappresentazione drammatica degli attori, non del luogo in cui si celebra la festa della cacciata che si abbandona senza ritegno allo sconcio, e quindi è proprio una cacciata, ma del pudore e dell'onestà. Si mostri cioè il luogo in cui i cittadini possano ascoltare ciò che gli dèi comandano sulla necessità di frenare l'avarizia, spezzare l'ambizione, reprimere la dissolutezza, in cui gli infelici possano imparare ciò che si deve sapere, come altamente afferma Persio: Imparate, o infelici, a conoscere le ragioni ideali delle cose, che cosa siamo, perché siamo generati a vivere, quale ordinamento è dato, quale e da chi è la reciprocità del limite, qual è l'uso moderato della ricchezza, che cosa è possibile desiderare, quale utile apporta il denaro che tormenta, fino a che punto è lecito concedere alla patria, agli amici e congiunti, chi Dio ti ha comandato di essere e da quale parte ti trovi nella realtà umana 9. Si dica in quali luoghi di solito si recitavano simili precetti di dèi che l'avessero insegnati e si udivano dai cittadini loro adoratori adunati in gran numero, allo stesso modo che noi indichiamo le chiese istituite allo scopo, dovunque si diffonda la religione cristiana.

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