martedì 5 aprile 2011

La Città di Dio - XII parte

Riprendiamo la lettura dell'opera di Sant'Agostino nota come "La città di Dio". Oggi cominciamo la lettura del libro secondo dell'opera, incentrato sull'immoralità del politeismo. Nella parte odierna, vediamo soprattutto indicati gli avversari-interlocutori a cui si riferisce Sant'Agostino (in pratica coloro che continuano ad addossare alla religione cristiana le colpe delle sventure patite) e leggiamo anche un riassunto del libro primo che tanto ci ha dato:

Libro secondo
IMMORALITÀ DEL POLITEISMO
 

1. Se la fiacca capacità dell'esperienza umana non ardisse opporsi al criterio della verità evidente ma sottoponesse la propria malattia alla dottrina salutare come a cura medica fino a guarire mediante l'aiuto di Dio e con l'intervento della fede religiosa, non ci sarebbe bisogno di un lungo discorso per dimostrare l'errore d'una falsa concezione a coloro che pensano rettamente ed esprimono i pensieri con parole appropriate. Ma la più grave e disgustosa malattia di stolte intelligenze è proprio quella di difendere come criterio razionale della verità le proprie impressioni irrazionali, anche dopo che è stato offerto un criterio pienamente razionale, quale si può dare da un uomo a un altro. E lo fanno o per grande accecamento, per cui non si vedono neanche le cose in piena luce, o per ostinata caparbietà, per cui non si vogliono osservare le cose che si vedono. Ne sorge la necessità di ripetere più diffusamente concetti chiari quasi a mostrare non cose da vedersi a chi guarda, ma da toccarsi a chi palpa con gli occhi chiusi. Ma ci sarà allora un termine della discussione e un limite del discorso se ritenessi di dover rispondere a chi non la smette di interloquire? Infatti coloro che o non sono capaci d'intendere ciò che si dice o sono tanto ostinati per opinione contraria che, quantunque abbiano inteso, non si arrendono, costoro interloquiscono e, come è stato scritto, difendono idee ingiustificate e non si stancano di essere insolenti 1. E se volessi confutare le loro obiezioni tutte le volte che aggrottando la fronte ostinata abbiano deciso di non capire quel che dicono, pur di contraddire in qualche modo alle mie argomentazioni, capisci che è un'opera senza limiti, irritante e senza risultati. E per questo vorrei che né tu stesso, o figlio mio Marcellino, né altri, ai quali questo mio lavoro a titolo di proficua cortesia è dedicato nella carità di Cristo, ne siano giudici così fatti da desiderare sempre una risposta ogni volta che si accorgono di una qualche obiezione agli argomenti esposti. Non divengano simili a quelle donnette, di cui dice l'Apostolo che imparano sempre e non arrivano mai alla conoscenza della verità 2.

2. Nel precedente libro, quando ho cominciato a parlare della città di Dio, dal momento in cui tutta l'opera col suo aiuto ha avuto inizio, mi si presentò la necessità di ribattere per primi coloro i quali attribuiscono le guerre, con cui il mondo è devastato, e soprattutto il recente saccheggio di Roma da parte dei barbari, alla religione cristiana, perché a causa sua è stato loro proibito di servire con culto obbrobrioso i demoni. Dovrebbero piuttosto attribuire a Cristo il fatto che per rispetto al suo nome, contro l'abituale usanza della guerra, i barbari abbiano offerto loro perché vi si rifugiassero spaziosi edifici di culto inviolabili e hanno così onorato il servizio, non solo vero, prestato a Cristo ma anche quello simulato per paura, al punto da giudicare che fosse per se stessi illecito di fare ciò che sarebbe stato lecito fare contro di loro agli altri per diritto di guerra. Ne sorse il problema perché questi benefici divini siano giunti anche a miscredenti e ingrati ed egualmente perché le atrocità commesse da parte dei nemici abbiano colpito indistintamente credenti e miscredenti. Il problema si allargò in molti quesiti. Esso infatti, in considerazione dei quotidiani favori divini e sventure umane che, gli uni e le altre, capitano indiscriminatamente ai buoni e ai cattivi, di solito turba molti individui. Per risolverlo secondo l'esigenza dell'opera intrapresa mi sono un po' dilungato principalmente per consolare donne consacrate col voto di castità, giacché contro di esse era stata commessa dal nemico un'azione che ha causato pena al pudore, anche se non ha tolto la fermezza della pudicizia. L'ho fatto perché non abbiano a rincrescersi della vita dal momento che non hanno di che rincrescersi per malcostume. Poi ho detto alcune cose contro coloro che con sfrontata arroganza dileggiano i cristiani afflitti dalle sciagure e soprattutto il pudore delle donne svillaneggiate ma santamente caste. Piuttosto sono essi molto dissoluti e privi di pudore, assai degeneri da quei Romani di cui sono lodate e divulgate nella letteratura azioni nobili, anzi fortemente opposti alla loro dignità. Proprio essi avevano reso Roma, creata e resa illustre dalle fatiche degli antichi, più abietta mentre era in piedi che dopo la caduta perché nel suo saccheggio son caduti pietre e legnami, invece nella loro vita son caduti i sostegni ornati non dei muri ma dei costumi. Bruciava di più il loro cuore di passioni mortali che le case di Roma con le fiamme. Con queste parole ho terminato il primo libro. Poi ho stabilito di parlare delle sventure che la città ha subito dalla sua fondazione sia nel suo interno che nelle province soggette, anche perché le accollerebbero tutte alla religione cristiana se fin d'allora la dottrina evangelica avesse fatto sentire nella loro nobilissima tradizione letteraria una eco contro gli dèi falsi e bugiardi.

3. Ricorda che mentre richiamo questi fatti parlo ancora contro gli ignoranti. Dalla loro ignoranza è nato appunto l'aforisma: "Non viene la pioggia, ne sono causa i cristiani" 3. Coloro invece che iniziati agli studi liberali amano la storia, sanno benissimo queste cose, ma per renderci ostili le masse degli indotti fanno finta di non saperlo; e si affannano a ribadire nel volgo che le sciagure da cui ineluttabilmente l'umanità in determinate circostanze di spazio e di tempo è afflitta avvengono per colpa della religione cristiana, giacché a danno dei loro dèi si diffonde con grande fama e illustre rinomanza in tutti i paesi. Richiamino dunque con noi le sciagure con cui lo Stato romano più volte e in vario modo è stato ridotto a nulla, prima che il Cristo venisse nel mondo, prima che il suo nome si rendesse noto ai popoli con la gloria che inutilmente gli contrastano. Difendano poi, se ne sono capaci, anche per questi fatti, i loro dèi se sono adorati appunto perché i loro adoratori non subiscano queste sventure, dal momento che pretendono di addossare a noi quelle che ora hanno sofferto. Perché dunque hanno permesso che accadessero ai loro adoratori i mali che sto per narrare, prima che la predicazione del nome di Cristo li irritasse e facesse proibire il loro culto?

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