martedì 12 ottobre 2010
Qoèlet - Quarto appuntamento
Torna anche per questo martedì l'appuntamento settimanale con il Qoèlet:
1Ho poi considerato tutte le oppressioni che si commettono sotto il sole. Ecco il pianto degli oppressi che non hanno chi li consoli; da parte dei loro oppressori sta la violenza, mentre per essi non c'è chi li consoli. 2Allora ho proclamato più felici i morti, ormai trapassati, dei viventi che sono ancora in vita; 3ma ancor più felice degli uni e degli altri chi ancora non è e non ha visto le azioni malvage che si commettono sotto il sole.
4Ho osservato anche che ogni fatica e tutta l'abilità messe in un lavoro non sono che invidia dell'uno con l'altro. Anche questo è vanità e un inseguire il vento.
5Lo stolto incrocia le braccia
e divora la sua carne.
6Meglio una manciata con riposo
che due manciate con fatica.
7Inoltre ho considerato un'altra vanità sotto il sole: 8uno è solo, senza eredi, non ha un figlio, non un fratello. Eppure non smette mai di faticare, né il suo occhio è sazio di ricchezza: "Per chi mi affatico e mi privo dei beni?". Anche questo è vanità e un cattivo affannarsi.
9Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un miglior compenso nella fatica. 10Infatti, se vengono a cadere, l'uno rialza l'altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. 11Inoltre, se due dormono insieme, si possono riscaldare; ma uno solo come fa a riscaldarsi? 12Se uno aggredisce, in due gli possono resistere e una corda a tre capi non si rompe tanto presto.
13Meglio un ragazzo povero ma accorto,
che un re vecchio e stolto
che non sa ascoltare i consigli.
14Il ragazzo infatti può uscir di prigione ed esser proclamato re, anche se, mentre quegli regnava, è nato povero. 15Ho visto tutti i viventi che si muovono sotto il sole, stare con quel ragazzo, il secondo, cioè l'usurpatore. 16Era una folla immensa quella di cui egli era alla testa. Ma coloro che verranno dopo non avranno da rallegrarsi di lui. Anche questo è vanità e un inseguire il vento.
17Bada ai tuoi passi, quando ti rechi alla casa di Dio. Avvicinarsi per ascoltare vale più del sacrificio offerto dagli stolti che non comprendono neppure di far male.
COMMENTO
Anche questo brano del Qoèlet non differisce dal modo di pensare dei giorni nostri. Oggi il Qoèlet vuol parlarci in un certo senso del mondo del lavoro: Vale la pena lavorare per l'intera settimana, senza mai riposarsi? Di domenica ormai si lavora come se questo giorno non contasse più nulla. Il tutto è giustificato dal progresso. Da quando il progresso dell'uomo è più importante di Dio? L'uomo può davvero permettersi di decidere se vale la pena riposare nel giorno di domenica? Il riposo domenicale non è un optional ma un comandamento, dunque ciascuno è chiamato ad osservarlo poiché la domenica è un giorno consacrato al Signore. Meglio una manciata con riposo che due manciate con fatica ci dice il brano di oggi. E' giusto guadagnare qualche soldo in più a scapito della salute? Il riposo inoltre non offre benefici soltanto al corpo, ma è occasione per riflettere, pregare e meditare. Al lavoro subentra poi l'avidità e l'eccessiva smania di egoismo. Come ci fa notare il Qoèlet c'è chi è senza eredi, solo e lavora a dirotto, ma per chi? E qui si rende necessario riportare il brano di Luca, capitolo 12, sulle ricchezze accumulate:
13 Uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità». 14 Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15 E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni». 16 Disse poi una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. 17 Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? 18 E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19 Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. 20 Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? 21 Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio».
Cosa vuol dire arricchire davanti a Dio? Diventare ricchi di virtù nello spirito, nell'amore, in particolare nella virtù della carità. Come abbiamo visto nella parabola di Gesù, il ricco desidera in cuor suo darsi alla pazza gioia, illudendosi di poter vivere a lungo e saziarsi dei suoi beni, ma Dio lo chiama definendolo "stolto" e gli annuncia la sua morte e aggiunge: di chi saranno le tue ricchezze? L'uomo oggi vive secondo delle prospettive puramente umanistiche: lavoro, sesso, soldi, ricchezze. La vita non è un circuito sul quale arrivare primi nelle ricchezze e nei successi "amorosi". La vita è innanzitutto un grandissimo dono nella quale noi siamo chiamati ad amare con amore puro e a condividere le nostre gioie con il prossimo specie se questi è povero. Il quarto versetto di questo quarto capitolo che abbiamo letto ci fa notare un particolare: c'è chi nel lavoro si impegna più degli altri e mostra la sua abilità non per estro ma per invidia, per diventare migliori degli altri. Questo accade perché non c'è amore per il prossimo, ma spesso la rivalità si impadronisce del cuore. L'invidia è causata sempre dal fattore "gara", vale a dire vivere per arrivare primi degli altri. Eppure Gesù lo ha detto: chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti (Mc 10,43-44). La malvagità sulla terra è aumentata con il progresso. Un'anima per raggiungere la perfezione deve spogliarsi delle ricchezze materiali perché queste ingannano facendole credere di essere superiore alle altre, ma in verità la superiorità consiste nell'amare, no nel possedere. "Meglio un ragazzo povero ma accorto, che un re vecchio e stolto che non sa ascoltare i consigli", ed è vero e non può essere altrimenti trattandosi di un brano biblico. Spesso si sottovaluta la creatività dei giovani per dare spazio agli anziani, ma la Sapienza non ha età: essa abita nei cuori puri, a prescindere dalla giovinezza. Non è raro che vi siano giovani capaci di fare grandi cose e messi da parte a favore degli anziani perché questi considerati più autorevoli. Giovanni Paolo II, il Papa dei giovani, questo lo sapeva, credeva nel potenziale dei giovani i quali conservano ancora intatti i sogni che non sono altro che il saper credere nel proprio potenziale e quindi di poter realizzare i progetti. Infine il brano conclude dicendo: "Avvicinarsi per ascoltare vale più del sacrificio offerto dagli stolti che non comprendono neppure di far male". Da questa frase possiamo trarre numerosi esempi. Gesù preferii i due soldi della povera vedova alle manciate dei ricchi. Questo deve farci riflettere che non conta tanto la quantità quanto la qualità. Dunque meglio un orecchio attento che uno stolto che compie opere tanto per sentirsi apposto con la coscienza. Come anche non è il numero delle messe che si ascoltano ad essere importante quanto alla qualità della vita cristiana. Pure se un uomo sentisse mille messe non gli basterebbe per la salvezza se continuasse a vivere secondo il mondo e cioè praticando l'avarizia, l'egoismo, l'odio, la rivalità, la superbia, la cupidigia, la lussuria, l'ingordigia e tutti quei vizi e peccati che non fanno parte del Regno di Dio. Dunque non la quantità, ma la qualità conta. Se un'anima ha fede e amore e partecipa attivamente alla Messa, si riunisce con cuore all'assemblea per ringraziare, pregare, contemplare, lodare, glorificare, adorare il Signore e fuori di Chiesa fa la volontà di Dio, quell'anima riceve tanti, tantissimi benefici per una sola messa vissuta. Ma se un'anima entrasse in Chiesa e sentisse cento messe senza partecipare con cuore disposto e fuori dalla Chiesa non compiesse la volontà di Dio, è come quando non si va a Messa. Una sola azione sincera e buona di un giusto vale più di mille azioni insipide di uno stolto. Questo è in sintesi ciò che il paragone alla fine del versetto del quarto capitolo del Qoèlet vuole comunicarci. In conclusione, riflettiamo sull'inizio del capitolo il quale esordisce che non vi sia nessuno che consoli gli afflitti. Questo accade in numerose realtà, ma adesso c'è chi può consolare gli afflitti, Gesù Cristo e noi cristiani che siamo chiamati a consolare. Infatti noi come cristiani siamo investiti della stessa missione di Cristo, ovvero quella di portare la speranza, la pace, l'amore, la consolazione, l'aiuto, come Egli ha fatto. Dunque gli oppressi ci sono e sono tanti quelli che non hanno consolazione: sta a noi portar loro il conforto donando loro la Parola di Dio che è Gesù Cristo.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
0 commenti:
Posta un commento