martedì 22 novembre 2011

La Città di Dio - XLI parte

Riprendiamo la lettura dell'opera di Sant'Agostino nota come "La città di Dio": continua la lettura del libro quarto dell'opera che si sofferma sull'imperialismo romano; oggi continuiamo a vedere il Santo d'Ippona "esaminare" a fondo la religione politeista romana e l'idolatria:

Libro quarto
IMPERIALISMO ROMANO E POLITEISMO


27. Il dottissimo pontefice Scevola, come è riferito nella storia letteraria, ha dimostrato che sono state consegnate alla tradizione tre figure di dèi, una dai poeti, un'altra dai filosofi e una terza dagli uomini politici. Il primo tipo, a suo avviso, è dovuto a frivolezza perché si immaginano molti fatti indegni degli dèi; il secondo non è conveniente per gli Stati, perché contiene alcuni concetti superflui ed altri la cui conoscenza nuocerebbe ai cittadini. Per quanto riguarda il superfluo non si ha un grosso problema; anche dai giurisperiti si suole affermare: Il superfluo non nuoce 54. Ma quali sono i temi che nuocciono se resi noti alla massa? Sono questi, egli risponde, che Ercole, Esculapio, Castore, Polluce non sono dèi, perché si dimostra dai dotti che sono stati uomini e che sono morti secondo l'umana condizione. E c'è altro? Che le città non abbiano idoli veristi degli dèi perché un vero dio non ha sesso, età e una determinata figura fisica 55. Il pontefice non vuole che i cittadini siano illuminati su questi temi perché non ritiene che siano falsi. È opportuno dunque, a suo avviso, che i cittadini in fatto di religione siano ingannati. Varrone nell'opera Sulla religione non esita a pensarla alla medesima stregua 56. Bella religione questa, a cui il debole si rivolgerebbe per esser liberato e mentre cercherebbe la verità che lo liberi, dovesse credere che gli conviene essere ingannato. Negli scritti di Scevola è detto anche perché egli rifiuti la figura degli dèi data dai poeti. Essi tratteggiano gli dèi in maniera che non possono neanche essere paragonati a persone oneste, poiché presentano l'uno che ruba, l'altro che va a donne, cioè che fanno o dicono qualcosa di assolutamente indecente. Inventano che tre dee hanno gareggiato per il premio di bellezza e che le due sconfitte da Venere hanno fatto distruggere Troia, che Giove si muta in toro o in cigno per andare a letto con una donna, che una dea si accoppia con un uomo, che Saturno divora i figli, che infine nulla si può inventare di incredibilmente vizioso che non si trovi nelle loro poesie ed è assolutamente sconveniente alla natura degli dèi. O Scevola, pontefice massimo, abolisci gli spettacoli se ci riesci, ordina ai cittadini che non presentino agli dèi immortali onori, durante i quali si prende gusto ad ammirare i delitti degli dèi e, dove è possibile, ad imitarli. Se il popolo ti risponderà: "O pontefici, siete stati voi a importare per noi questi spettacoli"; prega gli dèi, dietro cui istigazione li avete ordinati, che la smettano di comandare che siano loro offerti. Se quelle azioni sono malvagie e quindi da non attribuirsi assolutamente alla maestà degli dèi, la colpa maggiore è degli dèi stessi perché impunemente possono essere inventate nei loro riguardi. Ma non ti ascoltano, sono demoni, insegnano la depravazione, si dilettano dell'immoralità, non solo non considerano un torto se si inventano questi episodi nei loro confronti, anzi non possono sopportare il torto che non siano rappresentati durante le loro feste. Se poi ti appelli a Giove contro di loro, soprattutto perché vengono rappresentati parecchi suoi delitti negli spettacoli teatrali, anche se considerate Giove il dio da cui è retto e ordinato al fine questo mondo, da voi gli si rivolge il più grande insulto appunto perché ritenete di adorarlo assieme a loro e affermate che è il loro re.

28. È assurdo dunque che abbiano potuto accrescere e difendere l'impero romano dèi simili che sono placati o piuttosto chiamati in giudizio da simili onori, perché è più grave il reato che si dilettino dei loro falsi delitti che se li avessero commessi davvero. Se avessero tale potere, assegnerebbero un dono così grande piuttosto ai Greci che, per quanto attiene a questi aspetti della religione, cioè agli spettacoli teatrali, hanno onorato gli dèi in una forma più rispettosa e conveniente. Infatti essi non si sottrassero alla critica dei poeti da cui, come osservavano, anche gli dèi erano colpiti e diedero loro il permesso di maltrattare gli uomini a loro volontà e non giudicarono infami gli attori ma li considerarono degni di cariche elevate 57. Come infatti i Romani hanno potuto avere la moneta aurea, sebbene non adorassero il dio Aurino, così avrebbero potuto avere quelle di argento e di bronzo se non avessero adorato Argentino e il di lui padre Bronzino. E così per le altre cose che mi dà fastidio passare in rassegna. Allo stesso modo dunque non potrebbero avere il dominio contro il volere del vero Dio; e se avessero ignorato o anche disprezzato questi dèi falsi e molti e avessero conosciuto il Dio uno e l'avessero onorato con fede e moralità autentiche, avrebbero in questo mondo un dominio più perfetto, qualunque estensione avesse, e dopo la vicenda terrena ne riceverebbero uno eterno sia che in questo mondo lo avessero o non lo avessero.

29. E cosa significa che hanno considerato un bellissimo auspicio il fatto ricordato dianzi, che Marte, Termine e Giovinezza non vollero ritirarsi dal loro posto neanche per riguardo a Giove re degli dèi? Ha avuto questo significato, rispondono i pagani, che la gente di Marte cioè di Roma non avrebbe ceduto a nessuno il territorio che avesse occupato, che per la virtù del dio Termine nessuno avrebbe sconvolto i confini di Roma ed anche che per la virtù della dea Giovinezza la gioventù romana non si sarebbe ritirata davanti a nessuno. Riflettano dunque in quale considerazione tengano codesto re dei propri dèi e datore del proprio dominio, dal momento che questi auspici lo considerano come un avversario davanti al quale è nobile non ritirarsi. Comunque se i fatti sono veri, non hanno proprio di che temere. Non ammetteranno infatti che gli dèi si sono ritirati davanti a Cristo, perché neanche con Giove l'hanno fatto. A parte i confini dell'impero, è stato possibile comunque che si siano ritirati davanti al Cristo per quanto riguarda le sedi dei templi e soprattutto il cuore dei credenti. Ma prima che Cristo venisse nel mondo, prima ancora che fossero scritti gli eventi che cito dalla loro letteratura e tuttavia dopo che si ebbe quell'auspicio sotto il re Tarquinio, alcune volte l'esercito romano fu sbaragliato, cioè volto in fuga. Dimostrò così che era falso l'auspicio secondo il quale la dea Giovinezza non avrebbe ceduto a Giove. La gente di Marte in seguito all'invasione vittoriosa dei Galli fu sconfitta nella stessa Roma e i confini dell'impero furono ridotti di molto a causa della defezione di molte città ad Annibale. Così è scomparsa la bellezza dell'auspicio ed è rimasta la ribellione non degli dèi ma dei demoni contro Giove. Un conto è infatti non essersi ritirati e un altro essere ritornati là da dove ci si era ritirati. Comunque anche in seguito nelle regioni di Oriente per decisione di Adriano furono cambiati i confini dell'impero romano. Egli cedette all'impero persiano tre province illustri, l'Armenia, la Mesopotamia e l'Assiria 58. Sembra quindi che il dio Termine che, a sentir loro, proteggeva i confini di Roma, e che secondo quel favorevole auspicio non aveva ceduto a Giove, temeva di più Adriano re degli uomini che Giove re degli dèi. E Termine, in tempi che quasi ricordiamo noi, si ritirò indietro dalle suddette province recuperate in un secondo tempo, quando Giuliano, che si dedicava ai responsi degli dèi, con eccessiva audacia comandò di incendiare le navi da cui erano trasportate le vettovaglie. L'esercito rimastone privo, essendo anche morto l'imperatore per una ferita in battaglia, fu ridotto all'estrema scarsezza di mezzi. Nessuno sarebbe sfuggito, dato che i nemici assalivano da ogni parte i soldati turbati dalla morte dell'imperatore, se con un trattato di pace i confini non fossero stabiliti dove si hanno ancor oggi e fossero fissati non con la grande perdita che Adriano aveva accettato ma con un compromesso. Con un auspicio privo di significato dunque il dio Termine non aveva ceduto a Giove se ha ceduto alla decisione di Adriano, ha ceduto anche alla temerità di Giuliano e alla situazione ineluttabile di Gioviano 59. Queste cose le hanno capite anche i più intelligenti e autorevoli Romani, ma contavano poco contro l'usanza di una città che era legata a riti demoniaci. Anche essi, sebbene capissero che quelle credenze non avevano senso, ritenevano di dover rendere alla natura, posta sotto il dominio assoluto dell'unico vero Dio, quel culto religioso che si deve a Dio, perché erano soggetti, come dice l'Apostolo, alla creatura anziché al Creatore che è benedetto nei secoli 60. Era necessario l'aiuto di Dio che inviasse uomini santi e autenticamente religiosi, i quali subissero la morte per la vera religione affinché le false scomparissero dal mondo.

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