martedì 30 agosto 2011
La Città di Dio - XXXII parte
Riprendiamo la lettura dell'opera di Sant'Agostino nota come "La città di Dio": si conclude oggi la narrazione della storia di Roma secondo una visione critica che ci ha mostrato come non vi sia alcun collegamento tra le disgrazie e l'avvento del cristianesimo e di come invece Roma sia stata governata non da dei, ma da demoni che hanno approvato costumi osceni ed immorali che hanno condannato il popolo. Diamo un ultimo sguardo alle guerre civili pre-cristiane e ai cataclismi naturali:
28. La vittoria di Silla che seguì, quanto dire la punitrice della crudeltà di Mario, ottenuta col molto sangue dei cittadini già versato, pur essendo finita la guerra ma rimanendo le rivalità, proprio in periodo di pace infierì più crudelmente. Alle prime e alle ultime stragi del primo Mario se ne aggiunsero altre più gravi da parte di Mario il giovane e di Carbone del partito di Mario. Quando Silla stava per ritornare, costoro disperando non solo della vittoria ma anche della vita riempirono la città con altre loro carneficine. Infatti oltre la strage che si aveva da ogni parte, fu assediato il senato, e dalla curia, come se fosse un carcere, i senatori venivano condotti alla decapitazione. Il pontefice Muzio Scevola, sebbene niente per i Romani era più santo del tempio di Vesta, fu ucciso mentre abbracciava l'altare e spense quasi col proprio sangue il fuoco che ardeva perpetuamente per la continua sorveglianza delle vestali. Poi Silla entrò vincitore in città. Nella villa pubblica egli, giacché non la guerra ma la pace mieteva vittime, ne abbatté, non in combattimento ma con un ordine, ben settemila che si erano arresi e per questo anche inermi. In città poi qualsiasi partigiano di Silla poteva uccidere chi volesse. Per questo era assolutamente impossibile calcolare i morti fino a che non fu consigliato a Silla di lasciarne vivere alcuni perché si dessero individui a cui i vincitori potessero comandare. Fu frenata allora la furiosa licenza di ammazzare che impazzava dovunque e fu proposta con grande soddisfazione una tavola la quale conteneva duemila nomi di cittadini dell'una e dell'altra classe nobile, cioè equestre e senatoria, che dovevano essere uccisi e proscritti. Rattristava il numero ma consolava il limite al massacro, e la tristezza per il fatto che tanti dovevano morire era minore della gioia perché gli altri cessavano di temere. Tuttavia la loro tranquillità, per quanto crudele, si dolse profondamente dei raffinati sistemi di morte riservati ad alcuni di coloro che erano stati condannati a morte. Qualcuno fu sbranato dalle mani inermi dei carnefici, uomini che straziavano un uomo vivo con maggior efferatezza di quanto siano solite le belve con un cadavere trovato in terra. Un altro fu fatto vivere a lungo, o meglio morire a lungo fra grandi sofferenze perché gli avevano cavati gli occhi e amputate parti del corpo ad una ad una. Furono messe all'asta, come se fossero ville, alcune illustri città; la sorteggiata fu tutta condannata ad essere ammazzata come se si trattasse dell'esecuzione di un solo delinquente. I fatti avvennero in periodo di pace dopo la guerra, non per accelerare il conseguimento della vittoria ma per dare rilievo a quella già conseguita. La pace gareggiò con la guerra in crudeltà e vinse. La guerra abbatté uomini armati, la pace inermi. La guerra significava che chi poteva essere ucciso, poteva se gli riusciva, uccidere a sua volta; la pace non significava che chi era scampato vivesse ma che morendo non desse più fastidio.
29. Quale furore di genti straniere, quale crudeltà di barbari si può paragonare a questa vittoria di cittadini su concittadini? Che cosa ha visto Roma di più efferato, macabro e desolante, forse l'antico saccheggio dei Galli e il recente dei Goti o piuttosto la violenza di Mario e Silla e degli altri uomini eminenti nei rispettivi partiti? Fu come la violenza degli occhi di Roma contro le sue membra. I Galli uccisero i senatori dovunque li avessero trovati in tutta Roma, fuorché nella rocca del Campidoglio che comunque era la sola ad essere difesa. A coloro però che si trovavano su questo colle permisero per lo meno di riscattare la vita con l'oro; e sebbene non potessero toglierla con le armi, avrebbero potuto farla deperire con un lungo assedio. I Goti poi hanno risparmiato tanti senatori che farebbe meraviglia se ne hanno uccisi alcuni. Invece Silla, e Mario era ancora vivo, s'insediò come vincitore sul Campidoglio, che fu rispettato dai Galli, per decretare le carneficine; e quando Mario gli sfuggì per tornare più violento e sanguinario, egli dal Campidoglio, anche con delibera del senato, privò molti della vita e delle sostanze. Per i partigiani di Mario poi nell'assenza di Silla non vi fu alcun oggetto santo che risparmiassero se non risparmiarono neanche Muzio cittadino, senatore, pontefice, nell'atto che stringeva con disperato abbraccio l'altare stesso in cui erano, a sentir loro, i destini di Roma. L'ultima tavola di Silla inoltre, per non parlare di molte altre uccisioni, mandò a morte più senatori di quanti i Goti riuscirono a derubare.
30. Con quale fronte dunque, con quale coraggio, con quale improntitudine, con quale stoltezza o meglio pazzia non rinfacciano i fatti antichi ai loro dèi e rinfacciano i recenti al nostro Cristo? Le crudeli guerre civili, più dannose, per confessione anche dei loro scrittori, di tutte le guerre esterne, da cui, come è stato giudicato, lo Stato non solo fu colpito ma completamente rovinato, sono scoppiate prima della venuta di Cristo. Per una concatenazione di delitti si venne dalla guerra di Mario e Silla a quelle di Sertorio e di Catilina, il primo proscritto, l'altro protetto da Silla; poi a quella di Lepido e Catulo, dei quali uno voleva rescindere, l'altro approvare gli atti di Silla; poi a quella di Pompeo e Cesare. Pompeo era stato seguace di Silla ma ne aveva già eguagliato o anche superato il prestigio. Cesare non tollerava il prestigio di Pompeo perché ne era privo, ma lo superò dopo che l'altro fu sconfitto e ucciso. Da costoro le guerre civili passarono all'altro Cesare, detto in seguito Augusto. Il Cristo nacque mentre egli era imperatore. Lo stesso Augusto sostenne numerose guerre civili, durante le quali morirono molti uomini illustri fra cui anche Cicerone, l'eloquente statista. Avvenne che una congiura di alcuni nobili senatori uccise col pretesto della libertà politica Caio Cesare, vincitore di Pompeo, accusato di aspirare al regno. Egli comunque aveva usato con clemenza della vittoria civile e aveva donato vita e onori ai propri avversari. Parve allora che Antonio, ben diverso per moralità da Cesare e profondamente depravato in tutti i vizi, aspirasse ad ereditarne il prestigio. Cicerone gli resisteva vigorosamente per la libertà della patria. S'era fatto notare intanto come giovane di indole ammirevole, l'altro Cesare, figlio adottivo di Caio Cesare che, come ho detto, fu chiamato Augusto. Cicerone favoriva il giovane Cesare affinché si affermasse il suo prestigio contro Antonio. Sperava che rimossa e abbattuta la signoria di Antonio, l'altro avrebbe restituito la libertà politica. Ma era ciecamente imprevidente del futuro al punto che proprio quel giovane, di cui sosteneva la capacità nel governo, permise ad Antonio come per un tacito accordo di uccidere Cicerone stesso e sacrificò alla propria signoria quella libertà politica per cui il meschino aveva tanto gridato.
31. I nostri avversari, che sono ingrati al nostro Cristo di beni tanto grandi, accusino i propri dèi di mali tanto grandi. È vero, quando si verificavano quei mali, gli altari delle divinità profumavano d'incenso d'Arabia e olezzavano di fresche ghirlande 102, splendevano le vesti sacerdotali, gli edifici sacri scintillavano, si sacrificava, si dava spettacolo, s'impazziva nei templi, anche se per ogni dove si versava da cittadini tanto sangue dei concittadini, non solo in altri luoghi ma perfino in mezzo agli altari degli dèi. Cicerone non scelse un tempio in cui rifugiarsi perché Muzio lo aveva scelto invano. Costoro invece, che tanto ingiustificatamente insultano la civiltà cristiana, o si rifugiarono negli edifici più illustri dedicati a Cristo o ve li condussero i barbari per salvarli. Io sono certo di una cosa e chiunque giudica senza partigianeria viene sicuramente d'accordo con me. Lascio da parte altri fatti perché molti ne ho citati e sono di più quelli sui quali ho ritenuto di non dovermi dilungare. Se il genere umano avesse ricevuto l'insegnamento cristiano prima delle guerre puniche e ne fosse seguita la grande catastrofe che attraverso quelle guerre desolò l'Europa e l'Africa, ognuno di questi che esercitano la nostra pazienza avrebbe attribuito tali sciagure soltanto alla religione cristiana. Ancora più insopportabili, per quanto riguarda i Romani, sarebbero le loro grida se al manifestarsi e diffondersi della religione cristiana avessero fatto seguito il saccheggio dei Galli, il disastro dell'inondazione del Tevere e dell'incendio, ovvero le guerre civili che sono il disastro più grande. E rinfaccerebbero sicuramente ai cristiani come colpe altre sventure che si verificarono contro ogni aspettativa tanto da essere considerati prodigi, se si fossero verificate ai tempi del cristianesimo. Ometto quei casi in cui si ebbe più del mirabile che del dannoso, come il fatto che buoi hanno parlato, che bimbi non ancor nati hanno gridato alcune parole dal grembo materno, che serpenti sono volati, che donne e galline sono divenute di sesso maschile e altri simili prodigi che si trovano nei loro libri, non poetici ma storici 103, e che, veri o falsi, non producono negli uomini danno ma stupefazione. Ma quando si ebbe una pioggia di terra o di sabbia o di pietre (non nel senso di grandine come talora si dice, ma proprio di pietre) 104, questi fenomeni poterono certamente recare danni anche gravi. Si legge negli scrittori che a causa delle lave dell'Etna, le quali dal vertice del monte colarono fino alla spiaggia, il mare si mise in ebollizione fino ad infuocare gli scogli e a sciogliere la pece delle navi 105. Il fenomeno non costituì un lieve danno, sebbene sia singolare fino all'inverosimile. Hanno scritto che in un'altra eruzione del vulcano la Sicilia fu invasa da tanta cenere da far crollare per il sovraccarico e il peso i tetti della città di Catania. I Romani mossi a compassione dal disastro per quell'anno le condonarono il tributo 106. Hanno scritto anche che il numero delle cavallette in Africa, quando era già provincia romana, ebbe del prodigioso; dicono che distrutte le frutta e la vegetazione si buttarono in mare in una nube enorme al di là di ogni calcolo. Lì morirono e furono restituite alla spiaggia. Essendo l'aria divenuta infetta scoppiò una così grave epidemia che, come si racconta, nel solo regno di Massinissa, morirono ottocentomila individui e molti di più nelle regioni vicine al mare 107. Assicurano che ad Utica delle trentamila reclute che vi erano ne rimasero diecimila. Dunque la superficialità, che dobbiamo tollerare e alla quale siamo costretti a rispondere, rinfaccerebbe ognuno di questi fatti alla religione cristiana se li riscontrasse ai tempi del cristianesimo. Eppure non li rinfacciano ai loro dèi, di cui vogliono ristabilito il culto per non subire questi mali per quanto minori, sebbene gli antichi politeisti ne abbiano subiti ben più gravi.
28. La vittoria di Silla che seguì, quanto dire la punitrice della crudeltà di Mario, ottenuta col molto sangue dei cittadini già versato, pur essendo finita la guerra ma rimanendo le rivalità, proprio in periodo di pace infierì più crudelmente. Alle prime e alle ultime stragi del primo Mario se ne aggiunsero altre più gravi da parte di Mario il giovane e di Carbone del partito di Mario. Quando Silla stava per ritornare, costoro disperando non solo della vittoria ma anche della vita riempirono la città con altre loro carneficine. Infatti oltre la strage che si aveva da ogni parte, fu assediato il senato, e dalla curia, come se fosse un carcere, i senatori venivano condotti alla decapitazione. Il pontefice Muzio Scevola, sebbene niente per i Romani era più santo del tempio di Vesta, fu ucciso mentre abbracciava l'altare e spense quasi col proprio sangue il fuoco che ardeva perpetuamente per la continua sorveglianza delle vestali. Poi Silla entrò vincitore in città. Nella villa pubblica egli, giacché non la guerra ma la pace mieteva vittime, ne abbatté, non in combattimento ma con un ordine, ben settemila che si erano arresi e per questo anche inermi. In città poi qualsiasi partigiano di Silla poteva uccidere chi volesse. Per questo era assolutamente impossibile calcolare i morti fino a che non fu consigliato a Silla di lasciarne vivere alcuni perché si dessero individui a cui i vincitori potessero comandare. Fu frenata allora la furiosa licenza di ammazzare che impazzava dovunque e fu proposta con grande soddisfazione una tavola la quale conteneva duemila nomi di cittadini dell'una e dell'altra classe nobile, cioè equestre e senatoria, che dovevano essere uccisi e proscritti. Rattristava il numero ma consolava il limite al massacro, e la tristezza per il fatto che tanti dovevano morire era minore della gioia perché gli altri cessavano di temere. Tuttavia la loro tranquillità, per quanto crudele, si dolse profondamente dei raffinati sistemi di morte riservati ad alcuni di coloro che erano stati condannati a morte. Qualcuno fu sbranato dalle mani inermi dei carnefici, uomini che straziavano un uomo vivo con maggior efferatezza di quanto siano solite le belve con un cadavere trovato in terra. Un altro fu fatto vivere a lungo, o meglio morire a lungo fra grandi sofferenze perché gli avevano cavati gli occhi e amputate parti del corpo ad una ad una. Furono messe all'asta, come se fossero ville, alcune illustri città; la sorteggiata fu tutta condannata ad essere ammazzata come se si trattasse dell'esecuzione di un solo delinquente. I fatti avvennero in periodo di pace dopo la guerra, non per accelerare il conseguimento della vittoria ma per dare rilievo a quella già conseguita. La pace gareggiò con la guerra in crudeltà e vinse. La guerra abbatté uomini armati, la pace inermi. La guerra significava che chi poteva essere ucciso, poteva se gli riusciva, uccidere a sua volta; la pace non significava che chi era scampato vivesse ma che morendo non desse più fastidio.
29. Quale furore di genti straniere, quale crudeltà di barbari si può paragonare a questa vittoria di cittadini su concittadini? Che cosa ha visto Roma di più efferato, macabro e desolante, forse l'antico saccheggio dei Galli e il recente dei Goti o piuttosto la violenza di Mario e Silla e degli altri uomini eminenti nei rispettivi partiti? Fu come la violenza degli occhi di Roma contro le sue membra. I Galli uccisero i senatori dovunque li avessero trovati in tutta Roma, fuorché nella rocca del Campidoglio che comunque era la sola ad essere difesa. A coloro però che si trovavano su questo colle permisero per lo meno di riscattare la vita con l'oro; e sebbene non potessero toglierla con le armi, avrebbero potuto farla deperire con un lungo assedio. I Goti poi hanno risparmiato tanti senatori che farebbe meraviglia se ne hanno uccisi alcuni. Invece Silla, e Mario era ancora vivo, s'insediò come vincitore sul Campidoglio, che fu rispettato dai Galli, per decretare le carneficine; e quando Mario gli sfuggì per tornare più violento e sanguinario, egli dal Campidoglio, anche con delibera del senato, privò molti della vita e delle sostanze. Per i partigiani di Mario poi nell'assenza di Silla non vi fu alcun oggetto santo che risparmiassero se non risparmiarono neanche Muzio cittadino, senatore, pontefice, nell'atto che stringeva con disperato abbraccio l'altare stesso in cui erano, a sentir loro, i destini di Roma. L'ultima tavola di Silla inoltre, per non parlare di molte altre uccisioni, mandò a morte più senatori di quanti i Goti riuscirono a derubare.
30. Con quale fronte dunque, con quale coraggio, con quale improntitudine, con quale stoltezza o meglio pazzia non rinfacciano i fatti antichi ai loro dèi e rinfacciano i recenti al nostro Cristo? Le crudeli guerre civili, più dannose, per confessione anche dei loro scrittori, di tutte le guerre esterne, da cui, come è stato giudicato, lo Stato non solo fu colpito ma completamente rovinato, sono scoppiate prima della venuta di Cristo. Per una concatenazione di delitti si venne dalla guerra di Mario e Silla a quelle di Sertorio e di Catilina, il primo proscritto, l'altro protetto da Silla; poi a quella di Lepido e Catulo, dei quali uno voleva rescindere, l'altro approvare gli atti di Silla; poi a quella di Pompeo e Cesare. Pompeo era stato seguace di Silla ma ne aveva già eguagliato o anche superato il prestigio. Cesare non tollerava il prestigio di Pompeo perché ne era privo, ma lo superò dopo che l'altro fu sconfitto e ucciso. Da costoro le guerre civili passarono all'altro Cesare, detto in seguito Augusto. Il Cristo nacque mentre egli era imperatore. Lo stesso Augusto sostenne numerose guerre civili, durante le quali morirono molti uomini illustri fra cui anche Cicerone, l'eloquente statista. Avvenne che una congiura di alcuni nobili senatori uccise col pretesto della libertà politica Caio Cesare, vincitore di Pompeo, accusato di aspirare al regno. Egli comunque aveva usato con clemenza della vittoria civile e aveva donato vita e onori ai propri avversari. Parve allora che Antonio, ben diverso per moralità da Cesare e profondamente depravato in tutti i vizi, aspirasse ad ereditarne il prestigio. Cicerone gli resisteva vigorosamente per la libertà della patria. S'era fatto notare intanto come giovane di indole ammirevole, l'altro Cesare, figlio adottivo di Caio Cesare che, come ho detto, fu chiamato Augusto. Cicerone favoriva il giovane Cesare affinché si affermasse il suo prestigio contro Antonio. Sperava che rimossa e abbattuta la signoria di Antonio, l'altro avrebbe restituito la libertà politica. Ma era ciecamente imprevidente del futuro al punto che proprio quel giovane, di cui sosteneva la capacità nel governo, permise ad Antonio come per un tacito accordo di uccidere Cicerone stesso e sacrificò alla propria signoria quella libertà politica per cui il meschino aveva tanto gridato.
31. I nostri avversari, che sono ingrati al nostro Cristo di beni tanto grandi, accusino i propri dèi di mali tanto grandi. È vero, quando si verificavano quei mali, gli altari delle divinità profumavano d'incenso d'Arabia e olezzavano di fresche ghirlande 102, splendevano le vesti sacerdotali, gli edifici sacri scintillavano, si sacrificava, si dava spettacolo, s'impazziva nei templi, anche se per ogni dove si versava da cittadini tanto sangue dei concittadini, non solo in altri luoghi ma perfino in mezzo agli altari degli dèi. Cicerone non scelse un tempio in cui rifugiarsi perché Muzio lo aveva scelto invano. Costoro invece, che tanto ingiustificatamente insultano la civiltà cristiana, o si rifugiarono negli edifici più illustri dedicati a Cristo o ve li condussero i barbari per salvarli. Io sono certo di una cosa e chiunque giudica senza partigianeria viene sicuramente d'accordo con me. Lascio da parte altri fatti perché molti ne ho citati e sono di più quelli sui quali ho ritenuto di non dovermi dilungare. Se il genere umano avesse ricevuto l'insegnamento cristiano prima delle guerre puniche e ne fosse seguita la grande catastrofe che attraverso quelle guerre desolò l'Europa e l'Africa, ognuno di questi che esercitano la nostra pazienza avrebbe attribuito tali sciagure soltanto alla religione cristiana. Ancora più insopportabili, per quanto riguarda i Romani, sarebbero le loro grida se al manifestarsi e diffondersi della religione cristiana avessero fatto seguito il saccheggio dei Galli, il disastro dell'inondazione del Tevere e dell'incendio, ovvero le guerre civili che sono il disastro più grande. E rinfaccerebbero sicuramente ai cristiani come colpe altre sventure che si verificarono contro ogni aspettativa tanto da essere considerati prodigi, se si fossero verificate ai tempi del cristianesimo. Ometto quei casi in cui si ebbe più del mirabile che del dannoso, come il fatto che buoi hanno parlato, che bimbi non ancor nati hanno gridato alcune parole dal grembo materno, che serpenti sono volati, che donne e galline sono divenute di sesso maschile e altri simili prodigi che si trovano nei loro libri, non poetici ma storici 103, e che, veri o falsi, non producono negli uomini danno ma stupefazione. Ma quando si ebbe una pioggia di terra o di sabbia o di pietre (non nel senso di grandine come talora si dice, ma proprio di pietre) 104, questi fenomeni poterono certamente recare danni anche gravi. Si legge negli scrittori che a causa delle lave dell'Etna, le quali dal vertice del monte colarono fino alla spiaggia, il mare si mise in ebollizione fino ad infuocare gli scogli e a sciogliere la pece delle navi 105. Il fenomeno non costituì un lieve danno, sebbene sia singolare fino all'inverosimile. Hanno scritto che in un'altra eruzione del vulcano la Sicilia fu invasa da tanta cenere da far crollare per il sovraccarico e il peso i tetti della città di Catania. I Romani mossi a compassione dal disastro per quell'anno le condonarono il tributo 106. Hanno scritto anche che il numero delle cavallette in Africa, quando era già provincia romana, ebbe del prodigioso; dicono che distrutte le frutta e la vegetazione si buttarono in mare in una nube enorme al di là di ogni calcolo. Lì morirono e furono restituite alla spiaggia. Essendo l'aria divenuta infetta scoppiò una così grave epidemia che, come si racconta, nel solo regno di Massinissa, morirono ottocentomila individui e molti di più nelle regioni vicine al mare 107. Assicurano che ad Utica delle trentamila reclute che vi erano ne rimasero diecimila. Dunque la superficialità, che dobbiamo tollerare e alla quale siamo costretti a rispondere, rinfaccerebbe ognuno di questi fatti alla religione cristiana se li riscontrasse ai tempi del cristianesimo. Eppure non li rinfacciano ai loro dèi, di cui vogliono ristabilito il culto per non subire questi mali per quanto minori, sebbene gli antichi politeisti ne abbiano subiti ben più gravi.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
0 commenti:
Posta un commento