giovedì 31 marzo 2011

Catechismo della Chiesa Cattolica - XIX parte

Proseguiamo il nostro percorso volto alla conoscenza del Catechismo della Chiesa Cattolica: entriamo oggi nel secondo capitolo dedicato al Credo in Gesù Cristo, Figlio Unigenito di Dio: 

CAPITOLO SECONDO

CREDO IN GESU' CRISTO, IL FIGLIO UNIGENITO DI DIO
 
La Buona Novella: Dio ha mandato il suo Figlio

422 “Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli” (⇒ Gal 4,4-5). Ecco la Buona Novella riguardante “Gesù Cristo, Figlio di Dio” (⇒ Mc 1,1): Dio ha visitato il suo popolo, [Cf ⇒ Lc 1,68 ] ha adempiuto le promesse fatte ad Abramo ed alla sua discendenza; [Cf ⇒ Lc 1,55 ] ed è andato oltre ogni attesa: ha mandato il suo “Figlio prediletto” (⇒ Mc 1,11).

423 Noi crediamo e professiamo che Gesù di Nazaret, nato ebreo da una figlia d'Israele, a Betlemme, al tempo del re Erode il Grande e dell'imperatore Cesare Augusto, di mestiere carpentiere, morto crocifisso a Gerusalemme, sotto il procuratore Ponzio Pilato, mentre regnava l'imperatore Tiberio, è il Figlio eterno di Dio fatto uomo, il quale è “venuto da Dio” (⇒ Gv 13,3), “disceso dal cielo” (⇒ Gv 3,13; ⇒ Gv 6,33), “venuto nella carne” (⇒ 1Gv 4,2); infatti “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità... Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia” (⇒ Gv 1,14; ⇒ Gv 1,16).

424 Mossi dalla grazia dello Spirito Santo e attirati dal Padre, noi, riguardo a Gesù, crediamo e confessiamo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (⇒ Mt 16,16). Sulla roccia di questa fede, confessata da san Pietro, Cristo ha fondato la sua Chiesa [Cf ⇒ Mt 16,18; San Leone Magno, Sermones, 4, 3: PL 54, 151; 51, 1: PL 54, 309B; 62, 2: PL 54, 350C-351A; 83, 3: PL 54, 432A].

“Annunziare... le imperscrutabili ricchezze di Cristo

425 La trasmissione della fede cristiana è innanzitutto l'annunzio di Gesù Cristo, allo scopo di condurre alla fede in lui. Fin dall'inizio, i primi discepoli sono stati presi dal desiderio ardente di annunziare Cristo: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (⇒ At 4,20). Essi invitano gli uomini di tutti i tempi ad entrare nella gioia della loro comunione con Cristo:

Ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta (⇒ 1Gv 1,1-4).

Al centro della catechesi: Cristo

426 “Al centro della catechesi noi troviamo essenzialmente una persona: quella di Gesù di Nazaret, unigenito del Padre. . . , il quale ha sofferto ed è morto per noi e ora, risorto, vive per sempre con noi. . . Catechizzare. . . è, dunque, svelare nella persona di Cristo l'intero disegno di Dio. . . È cercare di comprendere il significato dei gesti e delle parole di Cristo, dei segni da lui operati” [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae, 5]. Lo scopo della catechesi: “Mettere. . . in comunione. . . con Gesù Cristo: egli solo può condurre all'amore del Padre nello Spirito e può farci partecipare alla vita della Santa Trinità” [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae, 5].

427 “Nella catechesi è Cristo, Verbo incarnato e Figlio di Dio, che viene insegnato, e tutto il resto lo è in riferimento a lui;... solo Cristo insegna, mentre ogni altro lo fa nella misura in cui è il suo portavoce, consentendo a Cristo di insegnare per bocca sua... Ogni catechista dovrebbe poter applicare a se stesso la misteriosa parola di Gesù: "La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato" (⇒ Gv 7,16)” [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae, 5].

428 Colui che è chiamato a “insegnare Cristo”, deve dunque cercare innanzi tutto quel guadagno che è la “sublimità della conoscenza di Cristo”; bisogna accettare di perdere tutto, “al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui”, e di “conoscere lui, la potenza della sua Risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti” (⇒ Fil 3,8-11).

429 Da questa amorosa conoscenza di Cristo nasce irresistibile il desiderio di annunziare, di “evangelizzare”, e di condurre altri al “sì” della fede in Gesù Cristo. Nello stesso tempo si fa anche sentire il bisogno di conoscere sempre meglio questa fede. A tal fine, seguendo l'ordine del Simbolo della fede, saranno innanzi tutto presentati i principali titoli di Gesù: Cristo, Figlio di Dio, Signore (articolo 2). Il Simbolo successivamente confessa i principali misteri della vita di Cristo: quelli della sua Incarnazione (articolo 3), quelli della sua Pasqua (articoli 4 e 5), infine quelli della sua glorificazione (articoli 6 e 7).

mercoledì 30 marzo 2011

Verità della Fede - X parte

Torna come consueto l'appuntamento del mercoledì con gli approfondimenti sulle "Verità della Fede" attraverso le attente analisi di Sant'Alfonso Maria de' Liguori: oggi il Santo Vescovo Dottore della Chiesa e Fondatore dei Redentoristi risponde alle affermazioni di Locke, dimostrando in questo quarto paragrafo del Cap. VI, come il pensiero e le idee sono di natura spirituale:






Verità della fede

di Sant'Alfonso Maria de' Liguori

§. 4. Di quel che dice Locke sopra lo stesso punto.

30. Questo autore1 nel suo libro de Intellectu humano s'impegnò a dimostrare specialmente due cose: la prima che tutte le idee vengono a noi dai sensi: l'altra che così le idee, come i giudizj e i raziocinj, non sono altro che mozioni del cerebro per mezzo degli spiriti animali, o siano corpuscoli tramandati nel nostro cerebro dagli oggetti esterni.

31. In quanto alla prima proposizione non occorre fermarci; poiché i sensi non possono dare altre idee che delle cose sensibili; ma noi, come si è detto, certamente abbiamo le idee di molte cose che non sono soggette ai sensi, come sono le idee della bontà e della sapienza, della giustizia, della malizia degli atti, dell'essenza e proprietà degli oggetti e simili. Onde non è vero che tutte le idee a noi vengano da' sensi.

32. In quanto poi alla seconda proposizione che tutti i pensieri, giudizj o raziocinj non sono che mozioni fatte nel nostro cerebro per mezzo de' corpuscoli posti in moto, ella è più falsa della prima; ma qui bisogna fermarci alquanto per confutarla e sciogliere tutte le opposizioni di Locke, benché molte cose già si son dette di sopra. Egli, quantunque dice che noi non possiamo aver l'idea d'una materia pensante, scrive non però che tutti i pensieri non sono che mozioni della materia, o sia degli spiriti materiali. Ma è chiaro che dal moto della materia non può nascere altro effetto che una nuova figura, nuova estensione o nuovo sito; ma qual connessione hanno queste qualità col pensiero, che non ha né figura, né estensione, né sito?

33. Inoltre il pensiero consistente nel moto de' corpuscoli secondo Locke non è altro che gli stessi corpuscoli posti in moto. Or questo pensiero o si suppone indivisibile, in modo che stia tutto nella massa de' corpuscoli, tutto in ciascuno di essi; o si suppone diviso in modo, che una parte del pensiero 
stia in una parte de' corpuscoli, e l'altra nell'altra. Il primo ripugna all'azione materiale, il secondo ripugna alla natura del pensiero. Parlando del primo supposto, che il pensiero sia nella massa e tutto in ogni corpuscolo, non può aver cammino; perché ogni azione materiale è necessariamente divisibile, onde dee esercitarsi tutta in tutto il soggetto e parte in parte; ma se si esercitasse tutta in tutto il soggetto, e tutta in ogni parte, ella sarebbe indivisibile, onde non sarebbe più materiale. Parlando poi del secondo supposto, cioè che una parte del pensiero sia in una parte de' corpuscoli, e l'altra nell'altra, neppure può sussistere; perché in tal modo il pensiero sarebbe diviso. E in tal modo potrebbe esser divisa anche l'idea della giustizia, della malizia o di altri soggetti puramente spirituali detti di sopra. Ma chi mai può dire che tali idee sieno divisibili, essendo i loro oggetti solamente intelligibili e non materiali?


34. Inoltre il pensiero non è che un'azione d'una sostanza semplice; onde non può consistere nel moto di più particelle. Che il pensiero sia azione d'una sostanza semplice, si prova dal vedere che il principio dal quale i pensieri provengono, si concepisce come indivisibile, e da quello talmente nascono i pensieri, che tutti al medesimo ritornano come loro fonte, ed ivi dimorano e si congiungono, senza che l'uno escluda o perturbi l'altro. Ma se i pensieri fossero materiali, essendo essi corpuscoli, dovrebbero mutuamente l'un l'altro escludersi o confondersi, e non potrebbero mai convenire in un principio, o sia in un punto indivisibile; perché ciascuno occuperebbe il suo luogo, e così non potrebbero unirsi tutti in un centro, ma l'uno perturberebbe l'altro. E così non può mai concepirsi come i pensieri possano esser formati dalla materia col moto delle sue particelle.

35. Locke fa tre obbiezioni. Dice in primo luogo: a noi non è lecito limitare l'onnipotenza di Dio; onde come possiamo dire che Dio non può fare che la materia pensi? Il Voltaire1 poi nelle sue Lettere filosofiche tratta da sciocchi coloro che si oppongono a questa idea di Locke. Egli per altro condanna chi fa produrre i pensieri dalla materia, e non lascia di confessare che ripugna materia e pensiero. Ma poi ricorre con Locke all'onnipotenza di Dio, e tratta da sciocco ed anche da empio chi in ciò gli contraddice; ed indi si avanza a dir male della chiesa cattolica come senza religione, perché riprova questa lor opinione. Ma rispondiamo al signor Locke ed al signor Voltaire che Dio può tutto, ma non può fare ciò che ripugna; come ripugna che la natura di una cosa sia natura di un'altra cosa diversa: onde siccome Dio non può fare che la natura del circolo sia la stessa del triangolo, o che la natura dell'acqua sia la stessa di quella del fuoco; così parimente non può fare che la materia abbia la natura dello spirito, perché ciò non meno ripugna di quello che il circolo abbia la natura del triangolo, e l'acqua abbia la natura del fuoco.

36. Lo stesso Locke confessa2 che Dio può produrre tutto ciò che non involve contraddizione; sicché Iddio può tutto, ma non può fare che due proposizioni tra loro contraddittorie sieno ambedue vere; perché l'esser contraddittorie e l'esser vere ambedue è cosa impossibile, e Dio non può fare che l'impossibile sia possibile. Il concepire la materia pensante è concepire una cosa impossibile, mentre sono cose totalmente contraddittorie materia e pensiero: la materia è divisibile, il pensiero è indivisibile. Che ogni essere pensante sia indivisibile, Locke non lo nega, anzi volendo provare l'esistenza di Dio, lo stabilisce per fondamento. Egli ne' suoi Saggi filosofici3 dice così: Se 
la materia fosse il primo essere eterno e pensante, non vi sarebbe un essere unico, eterno, infinito e pensante, ma un numero infinito di esseri eterni e pensanti, che sarebbero tutti indipendenti l'uno dall'altro; ma le forze di ciascuno sarebbero limitate, e le idee distinte, e per conseguenza non potrebbero produrre mai quell'ordine e quell'armonia che nella natura si osservano. Or lo stesso diciamo noi. Se l'essere pensante dell'uomo fosse materia, non sarebbe più unico, ma sarebbero tanti innumerabili esseri pensanti, quante sono le particelle della materia pensante, e sarebbero tutti distinti e indipendenti l'uno dall'altro; sicché non potrebbero mai formare un pensiero compito e tanto meno un raziocinio. Così parimente se l'uomo non fosse altro che la materia pensante, vi sarebbero in esso innumerabili idee ed innumerabili voleri l'uno diverso dall'altro. E questo è quello ch'è impossibile, cioè che il pensiero, il quale è unico, semplice e indivisibile, sia nello stesso tempo composto, multiplice e divisibile.


37. Ma la maraviglia si è che il sig. Locke nel citato capo 10. confessa già che la materia non può produrre il pensiero, giungendo a dire: Tanto è contrario all'idea della materia, ch'è priva di sentimento, il poter produrre da sé movimento, percezione e conoscenza, quanto è contrario all'idea d'un triangolo il fare angoli che sieno maggiori di due retti. Così egli parla, e parla giusto; ma avendo ciò detto, come poi può mettere in dubbio se la materia pensi, e dire: Ma noi non sappiamo quel che può fare Iddio? Sì, non sappiamo quel che Dio può fare; ma sappiamo che non può fare ciò ch'è impossibile, qual'è che sieno compatibili due cose tra loro contraddittorie, che le tenebre sian luce; siccome dunque sappiamo che le tenebre non ponno produrre la luce, così anche sappiamo che la materia non può produrre il pensiero.

38. Replica Locke, e dice: Iddio ch'è spirito non crea la materia dal niente? E perché poi non può fare che la materia produca il pensiero? Rispondo: che Dio essendo spirito crei la materia, non è contraddizione; perché Iddio come onnipotente, benché non sia materia, contiene nondimeno eminentemente l'esser materiale nella potenza che ha di crearlo. Iddio dunque come onnipotente ben può produrre così il pensiero, come la materia; ma non può fare che la materia per se stessa produca il pensiero; perché in tal modo il pensiero non sarebbe prodotto da Dio, ma dalla materia; e questo è quel che non può essere, perché Dio non può fare che la causa comunichi all'effetto una cosa che non ha. Niuno stromento può produrre un effetto diverso dalla propria essenza: p. e. uno stromento meccanico il quale ha parti non può operare sopra d'un soggetto che non ha parti; e così la materia che ha parti non può essere stromento a produrre il pensiero che non ha parti, né può operare sopra lo spirito, che parimente è privo di parti. Oltreché, se mai Dio volesse produrre il pensiero in qualche oggetto materiale, in tal caso non sarebbe la materia, ma lo stesso Dio che produce il pensiero; mentre la materia è affatto incapace di poter produrre alcun pensiero. Ma soggiunge il Voltaire: Noi non possiamo concepire tutte le proprietà della materia, né sappiamo come una sostanza pensi, e come abbia delle idee. Ma da ciò, rispondo, che può egli dedurne? Perché non sappiamo le proprietà della materia, e come l'uomo pensi ed abbia le sue idee, perciò la materia può pensare? Quantunque ignoriamo queste cose, sappiamo però per certo che la materia non può esser pensiero, né produrre il pensiero; perché la materia ha parti ed è divisibile, e il pensiero non ha parti ed è indivisibile.

39. Dice Voltaire che Dio può comunicare agli organi più delicati dell'uomo la facoltà di pensare. Ma che? Forse egli si figura, dice il p. Valsecchi, d'innestare il pensiero al cerebro dell'uomo, come s'innesta il vaiuolo al braccio del fanciullo? Se il pensiero è 
cosa materiale, non può avere altro effetto che materiale di estensione, di moto o di figura. E non giova ricorrere alle qualità occulte, quando vi è ripugnanza di essenza e d'incapacità di natura. La ripugnanza poi tra il pensiero e la materia è evidente per tutte le ragioni di sopra addotte, e specialmente per quella che già si è toccata e meglio si esporrà qui appresso, cioè che l'oggetto che pensa è semplice ed uno senza parti; ma la materia necessariamente è composta di più parti, delle quali niuna avrebbe la percezione intiera del pensiero, poiché il pensiero sarebbe diviso in tante parti, quante sono quelle che avessero la virtù di percepire. Dice Pietro Bayle che questo argomento dell'unità necessaria per comprendere intieramente il pensiero, è un'obbiezione insuperabile contro coloro che difendono la materia pensante; mentre scrive che, se il pensiero si formasse coll'impressione o sia azione delle parti corporee, da ciò niun atto di cognizione risulterebbe; oppure questi atti di cognizione sarebbero differenti assai da quelli che in noi sperimentiamo, giacché questi tutto intiero l'oggetto ci rappresentano, prova evidente che il soggetto in noi impressionato dall'intiera immagine di questi oggetti non è divisibile in più parti, ed in conseguenza che l'uomo, in quanto pensa, non è corporeo o materiale. Ma passiamo alle altre opposizioni che fa Locke.


40. In secondo luogo egli oppone che ben si vedono più cose artificiose ridotte dall'uomo alla massima perfezione; perché dunque, dice, non può Dio, la cui sapienza supera infinitamente quella dell'uomo, ridurre la materia a tal perfezione che abbia forza di pensare? A ciò si dà la stessa risposta di sopra, della ripugnanza che vi è fra la sostanza materiale e la sostanza pensante; mentre Dio può creare nuove nature, può distruggere tutte le create, ma non può fare che la natura d'un oggetto sia natura d'un altro diverso. Se Dio potesse fare che la materia pensasse, potrebbe dirsi ancora che Dio potrebbe ridurre un legno ad essere così perfettamente lavorato e composto, che potesse avere tutti gli atti d'intelletto e di volontà.

41. In terzo luogo oppone che i bruti, quantunque non sieno altro che materia, e il loro spirito non sia che una sostanza materiale, pure vediamo che percepiscono a lor modo le cose che loro si presentano, ed hanno la memoria de' beneficj e de' maltrattamenti dagli altri ricevuti; dunque, conclude, la materia è capace di percepire. In ciò è vero che Cartesio con altri han tenuto esser i bruti automi e pure macchine materiali senza spirito. Altri però (e questa oggidì è l'opinione più abbracciata) vogliono che le bestie abbiano anima e cognizione, ma molto rozza ed imperfetta, almeno in quanto al modo di pensare. Del resto poco importa che non si sappia di queste opinioni quale sia la vera. Non perché ignoriamo alcune cose oscure, dobbiam negare le chiare e certe, qual'è che la materia non può pensare. Se Locke vuole che le anime de' bruti abbiano qualche simiglianza alle nostre, allora diremo che quelle sono spirituali; se poi vuole che quelle sieno materiali, ed allora diremo che le anime de' bruti differiscono essenzialmente dalle nostre, che sono certamente spirituali. Che se ne faccia poi delle anime dei bruti in morte, vedi quel che si dirà nella parte II. cap. XVIII. n. 12.

42. Per altro son troppo chiare le ragioni con cui si prova che il pensare s'appartiene alle sostanze spirituali, e non già alle materiali. Ma per fermare maggiormente questo punto, posto che il pensare spettasse alla materia, si dimanda a Locke, se pensano tutte le parti del cerebro, o alcune pensano ed altre no? Se dice che tutte pensano, non può dirlo; perché se pensassero tutte le parti della sostanza del cerebro, o il pensiero sarebbe tutto in ogni parte della materia, o parte sarebbe in una e parte in un'altra. Non può dire che il pensiero sarebbe in ciascuna parte della materia; perché così sarebbero 
tante sostanze pensanti, quante sono le parti del cerebro: ma noi siamo certi, che quel che pensa dentro di noi, è una e semplice cosa, e non già molte che pensano. Non può dire neppure che il pensiero parte sta in una parte della materia, e parte in un'altra; poiché in tal modo il pensiero sarebbe una cosa estesa, ed avrebbe una forma distinta: sarebbe inoltre diviso in parti, onde niun di noi potrebbe affermare di percepire intieramente qualche oggetto, poiché una parte del pensiero percepirebbe una parte dell'oggetto, ed un'altra parte percepirebbe l'altra. Né può dirsi che l'unione poi di tutti questi pensieri divisi percepirebbe tutto l'oggetto, essendoché le parti divise del cerebro non sanno ciò che percepiscono le altre parti.


43. Se poi dicesse Locke che le parti del cerebro non tutte pensano, allora bisognerebbe per via di moto, di quiete e di sito assegnare il luogo alle parti che pensano, ed a quelle che non pensano. Ma tutte queste variazioni di moto e di sito non possono formare il pensiero; giacché essi medesimi i materialisti dicono che la variazione del moto e della collocazione de' corpi non produce effetto nuovo; e se essi nol dicessero, ognuno ben capisce che simili variazioni di moti e siti delle parti materiali non possono mai formare il pensiero. Sicché in qualunque modo Locke faccia consistere il pensiero nelle parti materiali, non potrà mai far concepire che la materia pensi. Ma udiamo finalmente quel che dice su questo punto Benedetto Spinoza, che fu il principal maestro della materia pensante.

______________

1 Giovanni Locke nacque in Inghilterra nell'anno 1632. ed ivi ancora morì nel 1704 in età di anni 73 dopo avere scritti più libri dell'Imperio Civile, della Tolleranza ed altri. ma specialmente scrisse un'opera sull'Intelletto umano, nella quale sparse gli errori che qui si confutano.

1 Il sig. Voltaire nacque in Francia, di là passò in Inghilterra, dove prima fu poeta di drammi, e poi diventò filosofo; ma filosofo infelice ed empio, mentre disse più cose contro la religione e la fede.

2 Loc. cit. c. 10. p. 163.

3 L. 4. c. 10. n. 10. 

martedì 29 marzo 2011

La Città di Dio - XI parte

Riprendiamo la lettura dell'opera di Sant'Agostino nota come "La città di Dio". Il pensiero odierno si sofferma sulla Città di Dio, ma non solo poiché vediamo affrontare anche il tema degli dei che non fanno altro che desiderare spettacoli osceni, giungendo così a pervertire i cuori degli esseri umani (senza contare che tali spettacoli perversi e osceni continuarono anche dopo la sventura che non comportò dunque alcuna conversione o cambiamento). Ma il pensiero agostiniano va anche oltre e chiama a riflettere, in quest'ultima parte del primo Libro dell'opera, sulla commischianza tra la città di Roma e la Città di Cristo Re:

32. Comunque sappiate voi che non lo sapete e riflettete voi che fingete di non sapere e mormorate contro il liberatore da tali padroni. Le rappresentazioni teatrali, gli spettacoli immorali e la frivola licenza sono stati istituiti a Roma non dai vizi degli uomini ma per comando dei vostri dèi. Sarebbe più tollerabile se tributaste onori divini a Scipione che venerare simili dèi. Essi non erano migliori del proprio pontefice. Ed ora, se la vostra intelligenza ubriaca di errori per tanto tempo tracannati vi consente di pensare qualche cosa di sobrio, riflettete. Gli dèi, per sedare il contagio fisico, ordinavano che fossero loro apprestate delle rappresentazioni teatrali 93; il vostro pontefice, per evitare il contagio spirituale, proibiva che fosse costruito il teatro stesso. Se per un residuo di luce mentale ritenete lo spirito superiore al corpo, scegliete chi dovreste venerare. E il contagio non cessò perché in un popolo dedito alla guerra e abituato soltanto agli spettacoli del circo si insinuò la raffinata pazzia degli spettacoli del teatro, ma l'astuzia degli spiriti innominabili, prevedendo che il contagio sarebbe cessato a tempo dovuto, si preoccupò, approfittando della circostanza, di cagionarne non nei corpi ma nei costumi uno molto più grave, di cui particolarmente si compiace. Esso ha accecato la coscienza dei poveretti con tenebre tanto grandi e li ha bruttati di tanto obbrobrio che anche adesso (e forse sarà incredibile se si saprà dai posteri), dopo il saccheggio di Roma, coloro che furono posseduti da tale contagio e poterono fuggendo di lì arrivare a Cartagine, tutti i giorni hanno gareggiato nel far tifo per gli attori nei teatri.

33. O menti prive di mente! Questo è non un errore ma una grande pazzia. Mentre, come abbiamo saputo, i popoli di Oriente piangevano la vostra rovina e grandissime città nei più lontani paesi facevano pubblico lutto di compianto, voi cercavate, entravate e riempivate i teatri e facevate cose molto più insensate di prima. Il vostro grande Scipione temeva per voi proprio questo ignominioso contagio delle coscienze, questa rovina della moralità e dell'onestà, quando proibiva la costruzione dei teatri, quando si accorgeva che potevate facilmente essere rovinati dalla prosperità, quando non voleva che foste sicuri dalla paura del nemico. Pensava che non fosse prospero quello Stato in cui le mura rimangono, i costumi crollano. Ma su di voi hanno avuto più influsso ciò che gli empi demoni hanno insinuato di quel che gli individui saggi hanno auspicato. Da ciò dipende che non volete essere incolpati dei mali da voi commessi e incolpate la civiltà cristiana dei mali che subite. Nel vostro benessere voi non cercate lo Stato in pace ma la dissolutezza senza punizione, giacché corrotti nella prosperità non siete riusciti a correggervi nell'avversità. Voleva il grande Scipione che foste impauriti dal nemico perché non vi perdeste nella dissolutezza ma voi, calpestati dal nemico, non avete represso la dissolutezza, avete perduto l'utilità della sventura, siete diventati estremamente infelici e siete rimasti pessimi.

Scampo inusitato nella strage.
34. Tuttavia è dono di Dio che siate ancora in vita. Egli vi ammonisce col perdonarvi affinché vi correggiate col pentirvi e vi ha concesso anche, sebbene ingrati, di sfuggire alle schiere nemiche o perché ritenuti suoi servi o perché rifugiati nelle chiese dei suoi martiri. Si tramanda che Romolo e Remo avessero stabilito un luogo inviolabile. Chi vi si rifugiava era ritenuto immune da reato 94. Cercavano così di aumentare il numero degli abitanti della città da costruire. Fu anticipato un esempio meraviglioso in onore del Cristo. I saccheggiatori di Roma hanno deciso la stessa cosa che avevano deciso prima i suoi fondatori. E che c'è di straordinario se i fondatori per accrescere il piccolo numero dei propri concittadini fecero ciò che hanno fatto i saccheggiatori per conservare il gran numero dei propri nemici?

35. La redenta famiglia di Cristo Signore e l'esule città di Cristo Re adduca contro i propri nemici questi argomenti e, se lo potrà, altri in maggior numero e più convenienti. Ricordi però che anche fra i nemici sono nascosti dei futuri concittadini. Non ritenga anche con loro che sia privo di risultato il fatto che, prima di giungere a loro come compagni nella fede, li deve sopportare come avversari. Allo stesso modo sono del loro numero coloro che la città di Dio accoglie in sé, finché è esule in questo mondo, perché uniti nella partecipazione ai sacramenti ma che non saranno con lei nell'eterna eredità dei santi. Di essi alcuni sono celati, altri manifesti. E questi ultimi non si fanno scrupolo di mormorare assieme ai nemici contro Dio, di cui hanno in fronte il sacramento, riempiendo ora i teatri con loro, ora le chiese con noi. Però si deve molto meno disperare della correzione di alcuni, anche se agiscono così, se individui predestinati ad essere amici si celano, ancora sconosciuti a se stessi, fra i nostri avversari più palesi. Infatti le due città non sono riconoscibili in questo fluire dei tempi e sono fra di loro commischiate, fino a che non siano separate dall'ultimo giudizio. Sul loro inizio, svolgimento e fini convenienti tratterò con l'aiuto di Dio ciò che ritengo opportuno per la gloria della città di Dio che splenderà più chiaramente nel contrasto con i caratteri dell'altra.

36. Ma devo dire ancora qualche cosa in risposta a coloro che attribuiscono le disfatte dello Stato romano alla nostra religione perché è stato proibito il culto pubblico ai loro dèi. Devo citare le molte e gravi sventure che verranno in mente o che sembreranno sufficienti, capitate alla città e alle province appartenenti al suo impero prima che il loro culto fosse proibito. Le addosserebbero tutte a noi se anche ad esse fosse giunta la nostra religione e impedisse loro allo stesso modo un culto sacrilego. Devo poi dimostrare quali loro istituzioni e per qual motivo Dio si è degnato favorire per accrescere il loro dominio, giacché tutti i regni sono in suo potere; inoltre che quelli che considerano dèi non li hanno aiutati affatto, anzi danneggiati con l'inganno e l'errore. Infine si parlerà contro coloro che, quantunque confutati e convenuti con argomenti convincenti, si affannano a dimostrare che gli dèi non si devono onorare per il benessere della vita presente ma per quello che verrà dopo la morte. E questo, salvo errore, sarà un argomento più faticoso e degno di una più sottile discussione. In essa appunto si argomenterà contro filosofi, non di qualunque risma, ma che presso i Romani sono illustri per altissima fama e la pensano come noi in molte cose relative all'immortalità dell'anima, alla dottrina che Dio ha creato il mondo e alla provvidenza con cui ordina il mondo che ha creato. Ma poiché anche essi si devono ribattere nelle teorie in cui non la pensano come noi, non devo mancare a questo dovere. Dimostrate, cioè, false le obiezioni dei pagani, secondo le forze che Dio mi darà, difenderò la città di Dio, la vera religione e il culto di Dio, perché in lui solo è riposta veramente la felicità eterna. Questa dunque è la fine del primo volume. Riprenderò all'inizio del secondo libro gli argomenti predisposti per il seguito.


lunedì 28 marzo 2011

I Proverbi - Ventottesimo appuntamento

Come ogni lunedì torna l'appuntamento con Il Libro dei Proverbi che prosegue con il Cap. XXVIII, uno degli ultimi capitoli di questo bel libro sapienziale, per la precisione il quartultimo:


28

1L'empio fugge anche se nessuno lo insegue,
mentre il giusto è sicuro come un giovane leone.
2Per i delitti di un paese molti sono i suoi tiranni,
ma con un uomo intelligente e saggio l'ordine si mantiene.
3Un uomo empio che opprime i miseri
è una pioggia torrenziale che non porta pane.
4Quelli che violano la legge lodano l'empio,
ma quanti osservano la legge gli muovono guerra.
5I malvagi non comprendono la giustizia,
ma quelli che cercano il Signore comprendono tutto.
6Meglio un povero dalla condotta integra
che uno dai costumi perversi, anche se ricco.
7Chi osserva la legge è un figlio intelligente,
chi frequenta i crapuloni disonora suo padre.
8Chi accresce il patrimonio con l'usura e l'interesse,
lo accumula per chi ha pietà dei miseri.
9Chi volge altrove l'orecchio per non ascoltare la legge,
anche la sua preghiera è in abominio.
10Chi fa traviare gli uomini retti per una cattiva strada,
cadrà egli stesso nella fossa,
mentre gli integri possederanno fortune.
11Il ricco si crede saggio,
ma il povero intelligente lo scruta bene.
12Grande è la gioia quando trionfano i giusti,
ma se prevalgono gli empi ognuno si nasconde.
13Chi nasconde le proprie colpe non avrà successo;
chi le confessa e cessa di farle troverà indulgenza.
14Beato l'uomo che teme sempre,
chi indurisce il cuore cadrà nel male.
15Leone ruggente e orso affamato,
tale è il malvagio che domina su un popolo povero.
16Un principe privo di senno moltiplica le vessazioni,
ma chi odia la rapina prolungherà i suoi giorni.
17Un uomo perseguitato per omicidio
fuggirà fino alla tomba: nessuno lo soccorre.
18Chi procede con rettitudine sarà salvato,
chi va per vie tortuose cadrà ad un tratto.
19Chi lavora la sua terra si sazierà di pane,
chi insegue chimere si sazierà di miseria.
20L'uomo leale sarà colmo di benedizioni,
chi si arricchisce in fretta non sarà esente da colpa.
21Non è bene essere parziali,
per un pezzo di pane si pecca.
22L'uomo dall'occhio cupido è impaziente di arricchire
e non pensa che gli piomberà addosso la miseria.
23Chi corregge un altro troverà in fine più favore
di chi ha una lingua adulatrice.
24Chi deruba il padre o la madre e dice: "Non è peccato",
è compagno dell'assassino.
25L'uomo avido suscita litigi,
ma chi confida nel Signore avrà successo.
26Chi confida nel suo senno è uno stolto,
chi si comporta con saggezza sarà salvato.
27Per chi dà al povero non c'è indigenza,
ma chi chiude gli occhi avrà grandi maledizioni.
28Se prevalgono gli empi, tutti si nascondono,
se essi periscono, sono potenti i giusti.


COMMENTO

La minima colpa commessa fa tremare quanti l'hanno eseguita. Infatti l'uomo quando dice bugie dentro di sé ha inquietudine e inoltre la sua vita sarà piena di fraudolenze che non rimarranno nascoste a lungo e dovrà dar conto di ogni sua iniquità. I governanti per quanti possano essere numerosi, se sono iniqui non faranno mai nulla di buono e concreto per il loro paese, invece la saggezza è così grande che se abita anche in un solo uomo, quell'uomo sarà capace di portare avanti un'intera popolazione. Non è dunque la quantità ma la qualità che rende l'azione dell'uomo fruttuosa. La ricchezza materiale non potrà mai salvare l'uomo né renderlo saggio, almeno che l'uomo non fa di questa ricchezza uno strumento di sostegno per il prossimo. Ma la ricchezza materiale in sé non ha nessuna ricchezza poiché stiamo trattando di materia e la materia non ha nessuna proprietà se non materiale e la materialità non ha nessuna sostanza che arricchisce l'anima, poiché l'anima essendo fatta di spirito ha bisogno di altrettante cose spirituali per poter fortificarsi e vivere. La materia è come il fuoco e lo spirito come l'acqua: non possiamo bere il fuoco, altrimenti moriremo, allora abbiamo bisogno di acqua. Così l'anima ha bisogno di cose spirituali per vivere, non di materia. Per quanto un uomo possieda numerose campagne e abitazioni, aziende e rifugi, non possiede nulla di spirito se non ha Dio, e allora quell'uomo è veramente povero poiché l'anima e cioè l'essenza della vita dell'uomo, degraderà e l'uomo compie cose insensate. Non a caso la maggior parte dei ricchi è gente superficiale che fa cose terribili, come assunzioni di droghe e alcolici, festini abominevoli, cose contro natura che rende l'uomo indegno, possiamo dire che persino i cani sono più rispettati di coloro che fanno cose disgustose. Mentre il povero che confida nel Signore ha la vera ricchezza: la sapienza, la fede che permettono all'uomo di godere della presenza di Dio nella sua vita e di ricevere dalle mani del Signore le ricchezze di spirito che sono la sanità di mente, l'amore, l'umiltà e tutte quelle virtù che rendono l'uomo veramente ricco e quindi gioioso. Se guardiamo infatti un uomo pieno di soldi, vediamo che sul suo volto c'è sempre quel ghigno e quell'aria di insoddisfazione. Apparentemente il suo sorriso sembra mostrare che quell'uomo sia soddisfatto della sua vita, ma poi vediamo che le sue espressioni sono tirate e condizionate. Invece prendiamo come esempio Madre Teresa di Calcutta che nonostante la sua povertà aveva un sorriso autentico che lasciava traspirare l'autentica gioia che era nel suo cuore. I ricchi come mai sono sempre arrabbiati? Come mai ce l'hanno con il mondo? Perché non hanno la vera gioia nel cuore e quindi la vera ricchezza. Un povero che serve il Signore invece non è mai arrabbiato con il mondo, perché? La risposta è più che ovvia: perché ha la vera gioia nel cuore e la vera gioia nel cuore deriva dalla presenza di Dio nell'anima sua e poiché Dio è la ricchezza più grande per un uomo, quell'uomo sarà sempre soddisfatto e gioioso della vita, pur nonostante i limiti economici o fisici. E quindi molto meglio un povero saggio che un ricco stolto. Chi cerca il Signore comprende tutto e cioè chi guarda alla Luce di Cristo che è Sole di Sapienza che illumina, vede quanto gli è attorno e comprende poiché i raggi della Sapienza penetrano nella mente e spalancano la comprensione delle cose. Un uomo ricco e stolto non ha in sé la sapienza, ha una mente chiusa, limitata, non riesce ad andare oltre a quel che vede, conosce solo quanto ha intorno ed è esperto sulle cose che lo circondano. Un servo di Dio povero materialmente ma ricco spiritualmente possiede quei lumi che gli permettono di andare oltre la materia, oltre i condizionamenti del mondo. Pertanto se mettessimo a confronto un ricco stolto e un povero saggio, quest'ultimo sarebbe in grado di vedere le iniquità che sono nel cuore del ricco, mentre il ricco stolto non sarebbe capace nemmeno con ogni sforzo di rendersi conto dei pensieri del povero saggio. Un esempio ci viene dal mondo dello spettacolo, da quella tipologia di donna che decora la sua persona di accessori  e vestiti dell'ultima moda. In questo tipo di donna abbiamo visto una conoscenza che si limita a cose davvero inutili e insignificanti. Al contrario le donne povere come la Beata Teresa di Calcutta che abbiamo poco sopra citato, possiedono una sapienza enorme e questo è possibile perché la Sapienza è Dio e l'uomo che rivolge il suo cuore a Lui viene riempito da questa Sapienza. La Sapienza è Amore, Sofferenza,  Soccorso e quanti si prodigano per aiutare il prossimo, ottengono i lumi della ragione, ottengono una mente illuminata e aperta alla visione della Verità. Perché ad un certo punto questo capitolo dei Proverbi dice che la preghiera di chi volge l'orecchio altrove per non ascoltare la legge del Signore, è una preghiera abominevole? Semplice: chi fa una vita tremenda, vale a dire piena di peccati e non vuole ascoltare la Parola di Dio, quando questa persona si mette a pregare per chiedere una cosa per sé, quella preghiera non viene esaudita, perché Dio giustamente si sente preso in giro perché è realmente preso in giro da quelle persone che di Dio non vogliono sapere nulla però poi pretendono di ottenere favori. Ma chi confesserà i suoi peccati e non li commetterà più, troverà il perdono, troverà l'ascolto di Dio ai suoi lamenti, alle sue necessità, mentre chi tiene nascoste le sue colpe, non troverà mai soccorso nelle sue miserie. Il versetto 15 e 16 di questo capitolo ventotto, trova conferma nella situazione libica. Chi è privo di senno fa cose inaudite e terribili, quindi il "governatore" (si fa per dire) libico è un uomo privo di senno perché fa ammazzare uomini innocenti per mantenere il suo potere. L'insanità spirituale rende l'uomo malvagio. Cos'è che rende insano l'uomo? La lontananza da Dio. Qualcuno potrebbe replicare dicendo che il colonnello libico crede in Dio e nonostante questo continua a commettere violenze. E noi risponderemmo a questo "qualcuno" dicendo che non è sufficiente credere in Dio se poi non Lo si conosce e non Lo si ascolta. Infatti i mussulmani credono sì in Dio ma non lo conoscono perché Maometto ha impedito loro di conoscerlo. Infatti loro sanno che Dio esiste ma non sanno come Egli è realmente, non sanno che è un Dio di Amore e di Misericordia, non sanno che Egli si è rivelato nel mondo intero nella persona di Gesù Cristo. Quindi loro soltanto sanno che Dio esiste, ma non Lo conoscono e non Lo ascoltano perché Dio è Gesù e  loro Gesù lo rifiutano e se non ascoltano Gesù che è Dio e Figlio di Dio, chi ascoltano? Ascoltano un uomo, Maometto che ha fatto una grande confusione inventando dottrine sue e mischiandole con altre dottrine, proponendo questo impasto di dottrine confuse. Ancora oggi questo falso profeta impedisce di conoscere ai mussulmani il vero Dio perché minaccia la morte a chi abbandona questa falsa dottrina, invece questi uomini non morirebbero affatto, anzi vivrebbero perché conoscerebbero il vero Dio che darebbe loro la vera vita. Quindi Gheddafi sa che Dio esiste ma non Lo conosce e non Lo ascolta e quindi ecco che uccide. Soltanto chi crede in Dio e Lo conosce e Lo ascolta può fare il bene. Solo chi fa il bene, riceve bene. Chi è povero riceve grande abbondanza, ma chi è ricco stolto perderà tutti i suoi averi e tutti i suoi sforzi fatti in questa vita saranno stati inutili poiché non avrà fatto nulla per salvarsi. Cosa è necessario per salvarsi dunque? Credere in Gesù Cristo poiché questa è la Volontà del Padre; Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno (Gv 6,40). Se un uomo non crede in Gesù Cristo, non fa la volontà del Padre e non ascolta il Padre poiché Egli ci parla attraverso il Figlio. E un uomo che non ascolta il Figlio, non ascolta il Padre e non facendo la Volontà del Padre che consiste nell'amarci gli uni gli altri, l'uomo è capace soltanto di distruggere. Proprio per questi motivi ci sono persone che uccidono anche per pochi spiccioli, talmente è enorme la loro ignoranza. Invece chi vede Gesù Cristo e crede in Lui e quindi Lo ascolta e Lo segue, preferisce piuttosto morire anziché far un solo sgarbo ad un uomo, questo perché riceve la sapienza da Gesù e cioè la conoscenza del bene e dei benefici che ne derivano dal praticarlo. Meglio rimproverare piuttosto che adulare. Infatti chi rimprovera può correggere una persona e quella persona una volta resosi conto del beneficio derivato da quella correzione, benedice quell'uomo, lo stima, inoltre chi corregge viene benedetto da Dio. Al contrario chi fa complimenti pur nonostante vede i difetti degli altri, fa solo un male. Crede che così facendo riceverà premi in cambio da quella persona, ma non otterrà proprio nulla. L'essere ruffiani non ha mai fatto bene a nessuno e mai farà bene. Dietro alla lode ad un ricco si nasconde l'interesse, il desiderio di beneficiare delle sue ricchezze, ma non stringerà nulla e resterà sempre nella propria miseria. Al contrario chi rimprovera, non lo fa per ottenere cose in cambio, ma solo per il bene di quella persona perché possa trovare il vero bene. Chi si spoglia per dare al prossimo, non è mai povero, ma si arricchisce di una ricchezza che non è di questa terra. Nella povertà, nel sacrificio, nella carità c'è la chiave che apre le porte della gioia. Lo sanno bene Francesco d'Assisi, Vincenzo de' Paoli,  Pio da Pietrelcina, Madre Teresa di Calcutta, questi uomini che sono oggi Santi al cospetto di Dio e che stanno in questo momento e per sempre, godendo della gioia di stare davanti al Signore che è la più grande ricchezza!

Solo chi confida nel Signore troverà la vera gioia.

domenica 27 marzo 2011

Il Libro di Giobbe - Ventottesimo appuntamento

Come ogni domenica torna Il Libro di Giobbe; oggi proseguono le "sentenze" di Giobbe cominciate la scorsa settimana:

30

1Ora invece si ridono di me
i più giovani di me in età,
i cui padri non avrei degnato
di mettere tra i cani del mio gregge.
2Anche la forza delle loro mani a che mi giova?
Hanno perduto ogni vigore;
3disfatti dalla indigenza e dalla fame,
brucano per l'arido deserto,
4da lungo tempo regione desolata,
raccogliendo l'erba salsa accanto ai cespugli
e radici di ginestra per loro cibo.
5Cacciati via dal consorzio umano,
a loro si grida dietro come al ladro;
6sì che dimorano in valli orrende,
nelle caverne della terra e nelle rupi.
7In mezzo alle macchie urlano
e sotto i roveti si adunano;
8razza ignobile, anzi razza senza nome,
sono calpestati più della terra.
9Ora io sono la loro canzone,
sono diventato la loro favola!
10Hanno orrore di me e mi schivano
e non si astengono dallo sputarmi in faccia!
11Poiché egli ha allentato il mio arco e mi ha abbattuto,
essi han rigettato davanti a me ogni freno.
12A destra insorge la ragazzaglia;
smuovono i miei passi
e appianano la strada contro di me per perdermi.
13Hanno demolito il mio sentiero,
cospirando per la mia disfatta
e nessuno si oppone a loro.
14Avanzano come attraverso una larga breccia,
sbucano in mezzo alle macerie.
15I terrori si sono volti contro di me;
si è dileguata, come vento, la mia grandezza
e come nube è passata la mia felicità.
16Ora mi consumo
e mi colgono giorni d'afflizione.
17Di notte mi sento trafiggere le ossa
e i dolori che mi rodono non mi danno riposo.
18A gran forza egli mi afferra per la veste,
mi stringe per l'accollatura della mia tunica.
19Mi ha gettato nel fango:
son diventato polvere e cenere.
20Io grido a te, ma tu non mi rispondi,
insisto, ma tu non mi dai retta.
21Tu sei un duro avversario verso di me
e con la forza delle tue mani mi perseguiti;
22mi sollevi e mi poni a cavallo del vento
e mi fai sballottare dalla bufera.
23So bene che mi conduci alla morte,
alla casa dove si riunisce ogni vivente.
24Ma qui nessuno tende la mano alla preghiera,
né per la sua sventura invoca aiuto.
25Non ho pianto io forse con chi aveva i giorni duri
e non mi sono afflitto per l'indigente?
26Eppure aspettavo il bene ed è venuto il male,
aspettavo la luce ed è venuto il buio.
27Le mie viscere ribollono senza posa
e giorni d'affanno mi assalgono.
28Avanzo con il volto scuro, senza conforto,
nell'assemblea mi alzo per invocare aiuto.
29Sono divenuto fratello degli sciacalli
e compagno degli struzzi.
30La mia pelle si è annerita, mi si stacca
e le mie ossa bruciano dall'arsura.
31La mia cetra serve per lamenti
e il mio flauto per la voce di chi piange.


COMMENTO

Queste parole di Giobbe che proseguono il lamento iniziato la scorsa settimana e precedono quello della prossima, fanno venire un certo senso di pietà verso questo nostro caro fratello dell'antichità. Che umiliazione per un uomo abituato ad avere tanti beni a disposizione, vedersi ora schernito da giovinastri. Come se un uomo dei giorni nostri, rispettato e ben voluto da tutti, ad un certo momento della sua vita si ritrova povero e allontanato da tutti e preso in giro persino dai bambini. Proviamo a collocare Giobbe nella vita nostra quotidiana, ponendolo al posto di un barbone oggi chiamato dalla società "clochard". Quanti Giobbe ci sono sulla faccia della Terra, quanti uomini magari buoni che avevano una vita serena, si sono ritrovati per diverse cause in una situazione di enorme difficoltà. Giobbe lamenta un grande sconforto. Non neghiamolo: questo uomo antico scioglie il nostro cuore e lo muove alla compassione nel sentire questi dolori immotivati perché Giobbe è un uomo dalla condotta integra, nonostante tutti i suoi averi era generoso e umile con tutti. Era un ricco buono, cosa assai rara non solo ai giorni nostri, ma da sempre da quando l'uomo ha conosciuto il peccato. Dunque Giobbe è stato messo durante alla prova a causa delle "zizzanie" del demonio. All'inizio di questo Libro infatti vediamo come satana accusa Giobbe davanti a Dio cercando di insinuare sospetto sul servo del Signore. Così Dio permette al demonio di ridurre a uno stato pietoso questo ricco buono quale è Giobbe per saggiare il suo cuore.

Siamo anche noi un po' come Giobbe, quando diciamo: ma che male ho fatto io per vivere tutte queste sofferenze? Soprattutto se siamo coscienti di aver fatto opere buone. Sono prove e noi dobbiamo superarle, dobbiamo "dimostrare", per così dire al Signore che siamo servi fedeli, che non facciamo il bene solo perché stiamo bene noi, ma perché lo facciamo con amore e senza interessi a prescindere dallo stato in cui viviamo. Se Giobbe fosse stato un uomo ipocrita, probabilmente, anzi sicuramente nel dolore si sarebbe ribellato e ne avrebbe dette di tutti i colori, invece lui è veramente un uomo umile perché i suoi lamenti sono giusti, ma mai offensivi. Sono lamenti puliti di un uomo che allevia le sue sofferenze, senza mai bestemmiare e senza mai prendersela con Dio. Noi dovremmo seguire il suo esempio nella sofferenza. Anche nel lamentarsi c'è il giusto e cattivo modo e Giobbe usa quello buono. Nella sofferenza, specie se sappiamo di aver agito bene, accettiamo tutto con rassegnazione e se proprio il dolore pesa, lamentiamoci con dolcezza, senza mai giungere all'arroganza.

La prossima domenica leggeremo l'ultima parte del lamento di Giobbe dopodiché ci sarà la comparsa di un nuovo personaggio che non esiterà a mettere in mostra il suo sapere.

sabato 26 marzo 2011

Il Sabato dei Salmi - Salmo 47 (46) - Il Signore re di Israele e del mondo


47 (46)

1Al maestro del coro. Dei figli di Core. Salmo.

2Applaudite, popoli tutti,
acclamate Dio con voci di gioia;
3perché terribile è il Signore, l'Altissimo,
re grande su tutta la terra.

4Egli ci ha assoggettati i popoli,
ha messo le nazioni sotto i nostri piedi.
5La nostra eredità ha scelto per noi,
vanto di Giacobbe suo prediletto.
6Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.

7Cantate inni a Dio, cantate inni;
cantate inni al nostro re, cantate inni;
8perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.

9Dio regna sui popoli,
Dio siede sul suo trono santo.
10I capi dei popoli si sono raccolti
con il popolo del Dio di Abramo,
perché di Dio sono i potenti della terra:
egli è l'Altissimo.

COMMENTO


C'è una parola che racchiude l'intero salmo di oggi: lode. Il salmista ci invita, infatti, a lodare l'Altissimo Dio Onnipotente per la Sua Gloria poiché Egli regna su tutta la Terra. Ovviamente vi è un riferimento alla storia ebraica in quanto il salmista ebreo esalta tutto ciò Dio ha fatto per il popolo israelita, prescelto tra le nazioni di tutta la Terra. Noi però abbiamo un motivo nuovo per lodare il Signore Dio: quel motivo è Gesù Cristo in quanto grazie a Gesù, la salvezza ha raggiunto gli estremi confini della Terra. Dunque, uniamoci al salmista nel lodare il Signore Dio che nella Sua infinità bontà e misericordia ha voluto salvare non un solo popolo, ma tutti i popoli della Terra!

venerdì 25 marzo 2011

Siracide - Ventiseiesimo appuntamento

Come ogni venerdì lasciamo posto alla sapienza del Libro del Siracide:


26

1Beato il marito di una donna virtuosa;
il numero dei suoi giorni sarà doppio.
2Una brava moglie è la gioia del marito,
questi trascorrerà gli anni in pace.
3Una donna virtuosa è una buona sorte,
viene assegnata a chi teme il Signore.
4Ricco o povero il cuore di lui ne gioisce,
in ogni tempo il suo volto appare sereno.
5Tre cose teme il mio cuore,
per la quarta sono spaventato:
una calunnia diffusa in città, un tumulto di popolo
e una falsa accusa: tutto questo è peggiore della morte;
6ma crepacuore e lutto è una donna gelosa di un'altra
e il flagello della sua lingua si lega con tutti.
7Giogo di buoi sconnesso è una donna malvagia,
colui che la domina è come chi acchiappa uno scorpione.
8Gran motivo di sdegno una donna ubriaca,
non riuscirà a nascondere la vergogna.
9La scostumatezza di una donna è nell'eccitazione degli sguardi,
si riconosce dalle sue occhiate.
10Fa' buona guardia a una figlia libertina,
perché non ne approfitti, se trova indulgenza.
11Guàrdati dal seguire un occhio impudente,
non meravigliarti se ti spinge verso il male.
12Come un viandante assetato apre la bocca
e beve qualsiasi acqua a lui vicina,
così essa siede davanti a ogni palo
e apre a qualsiasi freccia la faretra.
13La grazia di una donna allieta il marito,
la sua scienza gli rinvigorisce le ossa.
14È un dono del Signore una donna silenziosa,
non c'è compenso per una donna educata.
15Grazia su grazia è una donna pudica,
non si può valutare il peso di un'anima modesta.
16Il sole risplende sulle montagne del Signore,
la bellezza di una donna virtuosa adorna la sua casa.
17Lampada che arde sul candelabro santo,
così la bellezza del volto su giusta statura.
18Colonne d'oro su base d'argento,
tali sono gambe graziose su solidi piedi.

19Due cose mi serrano il cuore,
la terza mi provoca all'ira:
un guerriero che languisca nella miseria,
uomini saggi trattati con disprezzo,
chi passa dalla giustizia al peccato;
il Signore lo tiene pronto per la spada.

20A stento un commerciante sarà esente da colpe,
un rivenditore non sarà immune dal peccato.


COMMENTO

Oggi il Siracide si sofferma particolarmente sulla condizione della donna. La donna giusta è un dono di Dio ed è motivo di gioia per suo marito. Al contrario le donne inique amanti del peccato non fanno altro che portare scompiglio nella vita altrui. La donna può raggiungere un'elevata sapienza o la più profonda ignoranza: tutto dipende dalle sue scelte. Lo si vede dagli innumerevoli esempi che ci pervengono dalla società moderna: le donne che hanno scelto una vita mondana hanno dimostrato di avere non solo uno scarso livello culturale, ma anche un comportamento insensato come mostrato ad esempio dal mondo della televisione. Facciamo un esempio concreto: Una donna che esce tutti i giorni da casa e commette quotidianamente peccati vive una grande condizione di ignoranza a differenza di una donna che ha scelto la vita claustrale e che possiede una grande sapienza. Questo cosa ci dimostra? Ci dimostra che la sapienza viene concessa a chi è degno di riceverla e i degni sono coloro che fanno la volontà di Dio. Non importa la quantità, ma la qualità. Nel caso dell'esempio appena fatto, non importa quante cose si fanno nella vita, ma come si vive la vita. E la vita per essere perfetta è necessario viverla puramente. Dunque una donna pura è una donna virtuosa, ma quante praticano l'iniquità sono motivo di angoscia. E' importante che i genitori esercitino la loro potestà genitoriale con criterio affinché le ragazze possano crescere virtuose e non viziose poiché una donna virtuosa non solo è motivo di gioia per la sua famiglia, ma anche una ricchezza per la società. Ogni uomo e in particolare ogni uomo che desidera fare la Volontà di Dio deve fuggire gli sguardi maliziosi poiché queste sono causa di perturbazioni spirituali, e per essere degni discepoli di Cristo è importante possedere un animo puro.

Il denaro è causa di perdizione, la sete di potere e di possedimenti sono un grande inganno, una grande rovina per la società di ogni tempo. Dove ci sono soldi c'è spesso corruzione. A stento un commerciante sarà esente da colpe, dice il Siracide, un rivenditore non sarà immune dal peccato. Questo perché ci sono soldi di mezzo e dove ci sono soldi ci sono vizi e i vizi sono fautori del peccato. Dobbiamo fare come San Francesco d'Assisi per diventare perfetti: spogliarci di tutto e farci povere per Cristo e per i fratelli: allora saremo liberi da ogni vincolo terreno, liberati da ogni peso, pronti per spiccare il celeste volo che conduce alla vita eterna.

giovedì 24 marzo 2011

Catechismo della Chiesa Cattolica - XVIII parte

Proseguiamo il nostro percorso volto alla conoscenza del Catechismo della Chiesa Cattolica: abbiamo letto la scorsa settimana il Paragrafo 6: "L'uomo"; oggi invece proseguiamo con il Paragrafo 7 che ci parlerà della "caduta"conseguenza del peccato:

Paragrafo 7 LA CADUTA 

385 Dio è infinitamente buono e tutte le sue opere sono buone. Tuttavia nessuno sfugge all'esperienza della sofferenza, dei mali presenti nella natura - che appaiono legati ai limiti propri delle creature - e soprattutto al problema del male morale. Da dove viene il male? “Quaerebam unde malum et non erat exitus - Mi chiedevo donde il male, e non sapevo darmi risposta”, dice sant'Agostino, [Sant'Agostino, Confessiones, 7, 7, 11] e la sua sofferta ricerca non troverà sbocco che nella conversione al Dio vivente. Infatti “il mistero dell'iniquità” (⇒ 2Ts 2,7) si illumina soltanto alla luce del “Mistero della pietà” (⇒ 1Tm 3,16). La rivelazione dell'amore divino in Cristo ha manifestato ad un tempo l'estensione del male e la sovrabbondanza della grazia [Cf ⇒ Rm 5,20 ]. Dobbiamo, dunque, affrontare la questione dell'origine del male, tenendo fisso lo sguardo della nostra fede su colui che, solo, ne è il vincitore [Cf ⇒ Lc 11,21-22; ⇒ Gv 16,11; ⇒ 1Gv 3,8 ].

I. “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia

La realtà del peccato

386 Nella storia dell'uomo è presente il peccato: sarebbe vano cercare di ignorarlo o di dare altri nomi a questa oscura realtà. Per tentare di comprendere che cosa sia il peccato, si deve innanzi tutto riconoscere il profondo legame dell'uomo con Dio, perché, al di fuori di questo rapporto, il male del peccato non può venire smascherato nella sua vera identità di rifiuto e di opposizione a Dio, mentre continua a gravare sulla vita dell'uomo e sulla storia.

387 La realtà del peccato, e più particolarmente del peccato delle origini, si chiarisce soltanto alla luce della Rivelazione divina. Senza la conoscenza di Dio che essa ci dà, non si può riconoscere chiaramente il peccato, e si è tentati di spiegarlo semplicemente come un difetto di crescita, come una debolezza psicologica, un errore, come l'inevitabile conseguenza di una struttura sociale inadeguata, ecc. Soltanto conoscendo il disegno di Dio sull'uomo, si capisce che il peccato è un abuso di quella libertà che Dio dona alle persone create perché possano amare lui e amarsi reciprocamente.

Il peccato originale - una verità essenziale della fede

388 Col progresso della Rivelazione viene chiarita anche la realtà del peccato. Sebbene il Popolo di Dio dell'Antico Testamento abbia in qualche modo conosciuto la condizione umana alla luce della storia della caduta narrata dalla Genesi, non era però in grado di comprendere il significato ultimo di tale storia, significato che si manifesta appieno soltanto alla luce della morte e della Risurrezione di Gesù Cristo [Cf ⇒ Rm 5,12-21 ]. Bisogna conoscere Cristo come sorgente della grazia per conoscere Adamo come sorgente del peccato. È lo Spirito Paraclito, mandato da Cristo risorto, che è venuto a convincere “il mondo quanto al peccato” (⇒ Gv 16,8), rivelando colui che del peccato è il Redentore.

389 La dottrina del peccato originale è, per così dire, “il rovescio” della Buona Novella che Gesù è il Salvatore di tutti gli uomini, che tutti hanno bisogno della salvezza e che la salvezza è offerta a tutti grazie a Cristo. La Chiesa, che ha il senso di Cristo, [Cf ⇒ 1Cor 2.16 ] ben sa che non si può intaccare la rivelazione del peccato originale senza attentare al Mistero di Cristo.

Per leggere il racconto della caduta

390 Il racconto della caduta (⇒ Gen 3) utilizza un linguaggio di immagini, ma espone un avvenimento primordiale, un fatto che è accaduto all'inizio della storia dell'uomo [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 13]. La Rivelazione ci dà la certezza di fede che tutta la storia umana è segnata dalla colpa originale liberamente commessa dai nostri progenitori [Cf Concilio di Trento: Denz.-Schönm., 1513; Pio XII, Lett.enc. Humani generis: Denz.-Schönm., 3897; Paolo VI, discorso dell'11 luglio 1966].

II. La caduta degli angeli

391 Dietro la scelta disobbediente dei nostri progenitori c'è una voce seduttrice, che si oppone a Dio, [Cf ⇒ Gen 3,1-5 ] la quale, per invidia, li fa cadere nella morte [Cf ⇒ Sap 2,24 ]. La Scrittura e la Tradizione della Chiesa vedono in questo essere un angelo caduto, chiamato Satana o diavolo [Cf ⇒ Gv 8,44; 391 ⇒ Ap 12,9 ]. La Chiesa insegna che all'inizio era un angelo buono, creato da Dio. “Diabolus enim et alii dÍmones a Deo quidem natura creati sunt boni, sed ipsi per se facti sunt mali - Il diavolo infatti e gli altri demoni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma da se stessi si sono trasformati in malvagi” [Concilio Lateranense IV (1215): Denz. -Schönm., 800].

392 La Scrittura parla di un peccato di questi angeli [ Cf ⇒ 2Pt 2,4 ]. Tale “caduta” consiste nell'avere, questi spiriti creati, con libera scelta, radicalmente ed irrevocabilmente rifiutato Dio e il suo Regno. Troviamo un riflesso di questa ribellione nelle parole rivolte dal tentatore ai nostri progenitori: “Diventerete come Dio” (⇒ Gen 3,5). “Il diavolo è peccatore fin dal principio” (⇒ 1Gv 3,8), “padre della menzogna” (⇒ Gv 8,44).

393 A far sì che il peccato degli angeli non possa essere perdonato è il carattere irrevocabile della loro scelta, e non un difetto dell'infinita misericordia divina. “Non c'è possibilità di pentimento per loro dopo la caduta come non c'è possibilità di pentimento per gli uomini dopo la morte” [ San Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, 2, 4: PG 94, 877C].

394 La Scrittura attesta la nefasta influenza di colui che Gesù chiama “omicida fin dal principio” (⇒ Gv 8,44), e che ha perfino tentato di distogliere Gesù dalla missione affidatagli dal Padre [Cf ⇒ Mt 4,1-11 ]. “Il Figlio di Dio è apparso per distruggere le opere del diavolo” (⇒ 1Gv 3,8). Di queste opere, la più grave nelle sue conseguenze è stata la seduzione menzognera che ha indotto l'uomo a disobbedire a Dio.

395 La potenza di Satana però non è infinita. Egli non è che una creatura, potente per il fatto di essere puro spirito, ma pur sempre una creatura: non può impedire l'edificazione del Regno di Dio. Sebbene Satana agisca nel mondo per odio contro Dio e il suo Regno in Cristo Gesù, e sebbene la sua azione causi gravi danni - di natura spirituale e indirettamente anche di natura fisica - per ogni uomo e per la società, questa azione è permessa dalla divina Provvidenza, la quale guida la storia dell'uomo e del mondo con forza e dolcezza. La permissione divina dell'attività diabolica è un grande mistero, ma “noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (⇒ Rm 8,28).

III. Il peccato originale

La prova della libertà

396 Dio ha creato l'uomo a sua immagine e l'ha costituito nella sua amicizia. Creatura spirituale, l'uomo non può vivere questa amicizia che come libera sottomissione a Dio. Questo è il significato del divieto fatto all'uomo di mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male, “perché quando tu ne mangiassi, certamente moriresti” (⇒ Gen 2,17). “L'albero della conoscenza del bene e del male” (⇒ Gen 2,17) evoca simbolicamente il limite invalicabile che l'uomo, in quanto creatura, deve liberamente riconoscere e con fiducia rispettare. L'uomo dipende dal Creatore, è sottomesso alle leggi della creazione e alle norme morali che regolano l'uso della libertà.

Il primo peccato dell'uomo

397 L'uomo, tentato dal diavolo, ha lasciato spegnere nel suo cuore la fiducia nei confronti del suo Creatore [Cf ⇒ Gen 3,1-11 ] e, abusando della propria libertà, ha disobbedito al comandamento di Dio. In ciò è consistito il primo peccato dell'uomo [Cf ⇒ Rm 5,19 ]. In seguito, ogni peccato sarà una disobbedienza a Dio e una mancanza di fiducia nella sua bontà.

398 Con questo peccato, l'uomo ha preferito se stesso a Dio, e, perciò, ha disprezzato Dio: ha fatto la scelta di se stesso contro Dio, contro le esigenze della propria condizione di creatura e conseguentemente contro il suo proprio bene. Costituito in uno stato di santità, l'uomo era destinato ad essere pienamente “divinizzato” da Dio nella gloria. Sedotto dal diavolo, ha voluto diventare “come Dio”, [Cf ⇒ Gen 3,5 ] ma “senza Dio e anteponendosi a Dio, non secondo Dio” [San Massimo il Confessore, Ambiguorum liber: PG 91, 1156C].

399 La Scrittura mostra le conseguenze drammatiche di questa prima disobbedienza. Adamo ed Eva perdono immediatamente la grazia della santità originale [Cf ⇒ Rm 3,23 ]. Hanno paura di quel Dio [Cf ⇒ Gen 3,9-10 ] di cui si son fatti una falsa immagine, quella cioè di un Dio geloso delle proprie prerogative [Cf ⇒ Gen 3,5 ].

400 L'armonia nella quale essi erano posti, grazie alla giustizia originale, è distrutta; la padronanza delle facoltà spirituali dell'anima sul corpo è infranta; [Cf ⇒ Gen 3,7 ] l'unione dell'uomo e della donna è sottoposta a tensioni; [Cf ⇒ Gen 3,11-13 ] i loro rapporti saranno segnati dalla concupiscenza e dalla tendenza all'asservimento [Cf ⇒ Gen 3,16 ]. L'armonia con la creazione è spezzata: la creazione visibile è diventata aliena e ostile all'uomo [Cf ⇒ Gen 3,17; ⇒ Gen 3,19 ]. A causa dell'uomo, la creazione è “sottomessa alla caducità” (⇒ Rm 8,20). Infine, la conseguenza esplicitamente annunziata nell'ipotesi della disobbedienza [Cf ⇒ Gen 2,17 ] si realizzerà: l'uomo tornerà in polvere, quella polvere dalla quale è stato tratto [Cf ⇒ Gen 3,19 ]. La morte entra nella storia dell'umanità [Cf ⇒ Rm 5,12 ].

401 Dopo questo primo peccato, il mondo è inondato da una vera “invasione” del peccato: il fratricidio commesso da Caino contro Abele; [Cf ⇒ Gen 4,3-15 ] la corruzione universale quale conseguenza del peccato; [Cf ⇒ Gen 6,5; ⇒ Gen 6,12; ⇒ Rm 1,18-32 ] nella storia d'Israele, il peccato si manifesta frequentemente soprattutto come infedeltà al Dio dell'Alleanza e come trasgressione della Legge di Mosè; anche dopo la Redenzione di Cristo, fra i cristiani, il peccato si manifesta in svariati modi [Cf ⇒ 1Cor 1-6; ⇒ Ap 2-3 ]. La Scrittura e la Tradizione della Chiesa richiamano continuamente la presenza e l'universalità del peccato nella storia dell'uomo:

Quel che ci viene manifestato dalla Rivelazione divina concorda con la stessa esperienza. Infatti, se l'uomo guarda dentro al suo cuore, si scopre anche inclinato al male e immerso in tante miserie che non possono certo derivare dal Creatore che è buono. Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l'uomo ha infranto il debito ordine in rapporto al suo ultimo fine, e al tempo stesso tutto il suo orientamento sia verso se stesso, sia verso gli altri uomini e verso tutte le cose create [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 13].

Conseguenze del peccato di Adamo per l'umanità

402 Tutti gli uomini sono coinvolti nel peccato di Adamo. San Paolo lo afferma: “Per la disobbedienza di uno solo, tutti sono stati costituiti peccatori” (⇒ Rm 5,19); “Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato. . . ” (⇒ Rm 5,12). All'universalità del peccato e della morte l'Apostolo contrappone l'universalità della salvezza in Cristo: “Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita” (⇒ Rm 5,18).

403 Sulle orme di san Paolo la Chiesa ha sempre insegnato che l'immensa miseria che opprime gli uomini e la loro inclinazione al male e alla morte non si possono comprendere senza il loro legame con la colpa di Adamo e prescindendo dal fatto che egli ci ha trasmesso un peccato dal quale tutti nasciamo contaminati e che è “morte dell'anima” [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1512]. Per questa certezza di fede, la Chiesa amministra il Battesimo per la remissione dei peccati anche ai bambini che non hanno commesso peccati personali [Cf ibid., 1514].

404 In che modo il peccato di Adamo è diventato il peccato di tutti i suoi discendenti? Tutto il genere umano è in Adamo “sicut unum corpus unius hominis - come un unico corpo di un unico uomo” [San Tommaso d'Aquino, Quaestiones disputatae de malo, 4, 1]. Per questa “unità del genere umano” tutti gli uomini sono coinvolti nel peccato di Adamo, così come tutti sono coinvolti nella giustizia di Cristo. Tuttavia, la trasmissione del peccato originale è un mistero che non possiamo comprendere appieno. Sappiamo però dalla Rivelazione che Adamo aveva ricevuto la santità e la giustizia originali non soltanto per sé, ma per tutta la natura umana: cedendo al tentatore, Adamo ed Eva commettono un peccato personale, ma questo peccato intacca la natura umana, che essi trasmettono in una condizione decaduta [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1511-1512]. Si tratta di un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l'umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali. Per questo il peccato originale è chiamato “peccato” in modo analogico: è un peccato “contratto” e non “commesso”, uno stato e non un atto.

405 Il peccato originale, sebbene proprio a ciascuno, [Cf ibid., 1513] in nessun discendente di Adamo ha un carattere di colpa personale. Consiste nella privazione della santità e della giustizia originali, ma la natura umana non è interamente corrotta: è ferita nelle sue proprie forze naturali, sottoposta all'ignoranza, alla sofferenza e al potere della morte, e inclinata al peccato (questa inclinazione al male è chiamata “concupiscenza”). Il Battesimo, donando la vita della grazia di Cristo, cancella il peccato originale e volge di nuovo l'uomo verso Dio; le conseguenze di tale peccato sulla natura indebolita e incline al male rimangono nell'uomo e lo provocano al combattimento spirituale.

406 La dottrina della Chiesa sulla trasmissione del peccato originale è andata precisandosi soprattutto nel V secolo, in particolare sotto la spinta della riflessione di sant'Agostino contro il pelagianesimo, e nel XVI secolo, in opposizione alla Riforma protestante. Pelagio riteneva che l'uomo, con la forza naturale della sua libera volontà, senza l'aiuto necessario della grazia di Dio, potesse condurre una vita moralmente buona; in tal modo riduceva l'influenza della colpa di Adamo a quella di un cattivo esempio. Al contrario, i primi riformatori protestanti insegnavano che l'uomo era radicalmente pervertito e la sua libertà annullata dal peccato delle origini; identificavano il peccato ereditato da ogni uomo con l'inclinazione al male (“concupiscentia”), che sarebbe invincibile. La Chiesa si è pronunciata sul senso del dato rivelato concernente il peccato originale soprattutto nel II Concilio di Orange nel 529 [Cf Concilio di Orange II: Denz.-Schönm., 371-372] e nel Concilio di Trento nel 1546 [Cf Concilio di Trento: Denz.-Schönm., 1510-1516].

Un duro combattimento

407 La dottrina sul peccato originale - connessa strettamente con quella della Redenzione operata da Cristo - offre uno sguardo di lucido discernimento sulla situazione dell'uomo e del suo agire nel mondo. In conseguenza del peccato dei progenitori, il diavolo ha acquisito un certo dominio sull'uomo, benché questi rimanga libero. Il peccato originale comporta “la schiavitù sotto il dominio di colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo” [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1510-1516]. Ignorare che l'uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell'educazione, della politica, dell'azione sociale [Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 25] e dei costumi.

408 Le conseguenze del peccato originale e di tutti i peccati personali degli uomini conferiscono al mondo nel suo insieme una condizione peccaminosa, che può essere definita con l'espressione di san Giovanni: “il peccato del mondo” (⇒ Gv 1,29). Con questa espressione viene anche significata l'influenza negativa esercitata sulle persone dalle situazioni comunitarie e dalle strutture sociali che sono frutto dei peccati degli uomini [Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia, 16].

409 La drammatica condizione del mondo che “giace” tutto “sotto il potere del maligno” (⇒ 1Gv 5,19), [Cf ⇒ 1Pt 5,8 ] fa della vita dell'uomo una lotta:

Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta incominciata fin dall'origine del mondo, che durerà, come dice il Signore, fino all'ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l'uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l'aiuto della grazia di Dio [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 37].

IV. “Tu non l'hai abbandonato in potere della morte”

410 Dopo la caduta, l'uomo non è stato abbandonato da Dio. Al contrario, Dio lo chiama, [Cf ⇒ Gen 3,9 ] e gli predice in modo misterioso che il male sarà vinto e che l'uomo sarà sollevato dalla caduta [Cf ⇒ Gen 3,15 ]. Questo passo della Genesi è stato chiamato “Protovangelo”, poiché è il primo annunzio del Messia redentore, di una lotta tra il serpente e la Donna e della vittoria finale di un discendente di lei.

411 La Tradizione cristiana vede in questo passo un annunzio del “nuovo Adamo”, [Cf ⇒ 1Cor 15,21-22; 411 ⇒ 1Cor 15,45 ] che, con la sua obbedienza “fino alla morte di croce” (⇒ Fil 2,8) ripara sovrabbondantemente la disobbedienza di Adamo [Cf ⇒ Rm 5,19-20 ]. Inoltre, numerosi Padri e dottori della Chiesa vedono nella Donna annunziata nel “protovangelo” la Madre di Cristo, Maria, come “nuova Eva”. Ella è stata colei che, per prima e in una maniera unica, ha beneficiato della vittoria sul peccato riportata da Cristo: è stata preservata da ogni macchia del peccato originale [Cf Pio IX, Bolla Ineffabilis Deus: Denz. -Schönm., 2803] e, durante tutta la sua vita terrena, per una speciale grazia di Dio, non ha commesso alcun peccato [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1573].

412 Ma perché Dio non ha impedito al primo uomo di peccare? San Leone Magno risponde: “L'ineffabile grazia di Cristo ci ha dato beni migliori di quelli di cui l'invidia del demonio ci aveva privati” [San Leone Magno, Sermones, 73, 4: PL 54, 396]. E san Tommaso d'Aquino: “Nulla si oppone al fatto che la natura umana sia stata destinata ad un fine più alto dopo il peccato. Dio permette, infatti, che ci siano i mali per trarre da essi un bene più grande. Da qui il detto di san Paolo: "Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia" (⇒ Rm 5,20). E il canto dell'Exultet: "O felice colpa, che ha meritato un tale e così grande Redentore!"” [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, 1, 3, ad 3].

IN SINTESI

413 “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. . . La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo” (⇒ Sap 1,13; ⇒ Sap 2,24).

414 Satana o il diavolo e gli altri demoni sono angeli decaduti per avere liberamente rifiutato di servire Dio e il suo disegno. La loro scelta contro Dio è definitiva. Essi tentano di associare l'uomo alla loro ribellione contro Dio.

415 “Costituito da Dio in uno stato di giustizia, l'uomo però, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia abusò della sua libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 13].

416 Per il suo peccato, Adamo, in quanto primo uomo, ha perso la santità e la giustizia originali che aveva ricevute da Dio non soltanto per sé, ma per tutti gli esseri umani.

417 Adamo ed Eva alla loro discendenza hanno trasmesso la natura umana ferita dal loro primo peccato, privata, quindi, della santità e della giustizia originali. Questa privazione è chiamata “peccato originale”.

418 In conseguenza del peccato originale, la natura umana è indebolita nelle sue forze, sottoposta all'ignoranza, alla sofferenza, al potere della morte, e inclinata al peccato (inclinazione che è chiamata “concupiscenza”).

419 “Noi dunque riteniamo, con il Concilio di Trento, che il peccato originale viene trasmesso insieme con la natura umana, "non per imitazione ma per propagazione", e che perciò è "proprio a ciascuno"” [Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 16].

420 La vittoria sul peccato riportata da Cristo ci ha donato beni migliori di quelli che il peccato ci aveva tolto: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (⇒ Rm 5,20).

421 Secondo la fede dei cristiani, questo mondo è stato “creato” ed è “conservato nell'esistenza dall'amore del Creatore”; questo mondo è “certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma liberato da Cristo crocifisso e risorto, con la sconfitta del Maligno...” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 2].



mercoledì 23 marzo 2011

Verità della Fede - IX parte

Anche per questo mercoledì proseguiamo gli approfondimenti sulle "Verità della Fede" attraverso le attente analisi di Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Siamo giunti al Paragrafo 3 del Cap. VI nel quale il Santo Vescovo Dottore della Chiesa e Fondatore dei Redentoristi confuta le parole dell'ateo Hobbes.



Verità della Fede

di Sant'Alfonso Maria de' Liguori

§. 3. Si confuta particolarmente quel che scrive Hobbes sopra lo stesso punto della materia pensante.

24. Diceva Hobbes1 che la materia è quella che pensa, e che la percezione consiste nell'azione del fantasma, o sia cumulo di particelle inviate al nostro cerebro dagli oggetti esterni, e la riflessone della percezione consiste nella reazione delle parti del nostro medesimo cerebro. Rispondiamo primieramente che, se il pensiero non si formasse d'altro modo che secondo questo insussistente e ridicolo sistema di particelle materiali interne ed esterne che agiscono, l'anima non potrebbe intendere altre cose, se non quelle che sono soggette a' sensi. Ma noi intendiamo tante cose che non s'appartengono a' sensi, ma sono puramente spirituali, come sono le idee delle virtù della giustizia, della prudenza, della pietà, le idee della natura o sia essenza degli oggetti, i pericoli di cose future, le conclusioni geometriche, e tutti gli atti d'intelletto o di volontà com'è il distinguere, l'astraere, il volere o non volere. Qual matto può dir mai che dicendo taluno voglio o non voglio, quell'atto di volontà sia cagionato dalla mozione delle parti del cerebro?

25. Ma anche parlando delle percezioni che si fanno per via de' sensi, queste non possono affatto consistere nelle mozioni cagionate da' fantasmi che vengono dagli oggetti esterni. La ragione è perché se tali mozioni formassero le percezioni e le riflessioni coll'azione e reazione, come sogna Hobbes, essendo questi atti del cerebro diversi e distinti, anche le mozioni sarebbero diverse tra loro; e non potrebbero mai unirsi a formare un pensiero che fosse nello stesso tempo percezione e riflessione; ma noi esperimentiamo che spesso nella nostra mente si fa nello stesso tempo la percezione e la riflessione sopra il medesimo oggetto. Non vale poi il dire che quelle due mozioni si uniscono insieme e formano nel tempo stesso la percezione e riflessione; perché essendo elle diverse e distinte, come abbiam detto, unite insieme non potrebbero cagionare che una nuova terza mozione, diversa da ambedue, sicché da tale unione ne dovrebbe sorgere una nuova cognizione diversa dalla percezione e riflessione avute prima. E se colla mozione delle parti l'uomo non potesse mai percepire e riflettere nello stesso tempo su d'una cosa, tanto meno potrebbe formarne un giudizio, che si fa coll'unione formata da due idee, cioè dal soggetto e dal predicato: perché queste due idee dovrebbero dipendere da due mozioni tutte diverse, delle quali l'una distruggerebbe l'altra o si confonderebbe con essa. Tanto meno potrebbe formare l'uomo un raziocinio o sia sillogismo, ch'è composto di tre giudizj uniti insieme; perché, se tal raziocinio si formasse da tre mozioni della materia, queste non potrebbero mai insieme unirsi; poiché la prima mozione sarebbe distrutta o almen perturbata dalla seconda, e la seconda confusa dalla terza. Ma ciò si è spiegato già più a lungo nel §. I. di questo capo.

26. Inoltre noi sperimentiamo che le nostre idee rimangono spesso per lungo tempo nella nostra mente; ma ciò non potrebbe avvenire, se le idee fossero formate solamente dalle mozioni materiali, perché queste mozioni non possono durare se non per momenti. Tanto più che spesso sopravvengono nuovi fantasmi dalle cose esterne, i quali confonderebbero le mozioni precedenti, e perciò le idee formate dalle prime mozioni non potrebbero in noi permanere per notabile tempo.

27. Inoltre diciamo che tutte le sensazioni che noi riceviamo dagli oggetti esterni, non sono azioni del corpo, ma dell'anima che in noi risiede. Tanto è vero, che quando l'anima è distratta da qualche pensiero di gran conseguenza, e non attende a' moti del corpo, allora niente intende anche delle cose sensibili, e non sente neppure il dolore cagionato dal ferro o dal fuoco. E perché? Perché il dolore non si sente dal corpo, ma dall'anima. La pressione dei moti esterni fa bensì che l'anima, per lo mutuo consenso che ha col corpo, percepisca le cose esterne; ma la percezione, che non può consistere in essi moti, sempre si fa dall'anima, non dal corpo. Tanto più che l'anima, come di sopra si è detto, a suo arbitrio produce tanti pensieri, or di cose lontane, or di passate, or di future, or di possibili, ora di astratte, ora di comparazioni, ora di distinzioni; tutti i quali pensieri non soggiacciono a' sensi. Ciò non può certamente operarlo in noi alcuna materia, essendo sostanza inerte e priva d'ogni virtù a muoversi da sé liberamente. Già vediamo che quel che cogita in noi è una sostanza tale, che a suo arbitrio può deliberare di preferire il pensiero d'una cosa ad un'altra. Ella in un momento può a sua libertà girare il pensiero al cielo, alla terra, al mare; ella può voltarsi a luoghi lontani e farseli presenti; ma secondo Hobbes le mozioni del cerebro non si fanno che necessariamente e dagli oggetti che sono presenti, né possono affatto venire dagli oggetti lontani o possibili o astratti.

28. Dice Hobbes che restano i fantasmi nel cerebro, e questi poi cagionano il moto e i pensieri. Ma a questo già si è risposto che tali fantasmi possono bensì cagionare i moti della materia, ma non già i pensieri. Né questi moti possono esser permanenti per lungo tempo, come sarebbe necessario per cagionare la memoria delle cose antiche. Si aggiunge che spesso le ricordanze avvengono all'uomo non da se stesse, ma per propria diligenza; e spesso sta a suo arbitrio, se non vuol ricordarsene; basta ch'egli diverta ad altro il pensiero.

29. Ma come va, replicano i materialisti, che quando il corpo è infermo o sta sopito, l'anima non opera come prima? Si risponde che ciò non avviene, perché il pensiero derivi dal corpo, ma perché vi è questa legge di commercio che Dio ha posta tra l'anima e il corpo, cioè che l'anima imperi e il corpo le serva d'istromento. Ma se l'istromento è inetto o viziato, non è maraviglia che l'anima sia impedita di operare con libertà: siccome la candela non può bene mandar la sua luce, se il cristallo della lanterna è annerito; siccome anche un sonatore, per bravo che sia, non potrà mai sonar bene, se nel cembalo mancano o sono scordate le corde.

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1 Tommaso Hobbes nacque nell'anno 1588 in Malmesburia, e propriamente nel villaggio Viloduniense. Di 14 anni studiò la fisica in Oxonio. Nell'età di anni venti andò girando per la Francia e per l'Italia; ma nel 1629 ritornato in Francia cominciò in Parigi ad investigare i principj della scienza naturale. Di là ritornato poi in Inghilterra nel 1637, stette ivi per molto tempo nascosto per causa de' suoi libri dati fuori, in cui diè mal odore della sua fede. Morì finalmente nel 1679 d'anni 91. Egli scrisse tra gli altri un libro intitolatoLeviathan, le cui scellerate dottrine furon condannate da' teologi inglesi, e poi fu condannato tutto il libro per decreto del re, ed indi fu tenuto quest'empio autore, come antesignano degli atei moderni.